I potenti blindati come ogni anno tra le nevi di un esclusivo paesino svizzero. In versione 2017 con barriere anti sfondamento per i tir e forze anti terrorismo. Ieri si è aperto ufficialmente il Forum di Davos, tradizionale riunione internazionale dei globalisti (e bestia nera dei no global), caratterizzato per la prima volta da una sorta di «presa di coscienza», di «riflessione», sui mali della globalizzazione. Nulla di sconvolgente, per carità, ma finalmente si prende atto che il neoliberismo genera disuguaglianze crescenti.

Tanto che il rapporto introduttivo del World Economic Forum ha corretto il dato diffuso l’anno scorso, che attribuiva alle 62 persone più ricche del mondo la stessa ricchezza che si trova nelle mani di una metà degli abitanti dell’intero pianeta. In realtà, come spiegava due giorni fa il report della ong Oxfam, quel numero già a fine 2015 era ristretto a nove paperoni, oggi ridotti addirittura a soli otto. Bill Gates, Jeff Bezos, Warren Buffett, Michael Bloomberg, Mark Zuckerberg – per citare i più noti – tutti maschi e rigorosamente bianchi.

Ma i potenti non risiedono ormai solo negli Usa e in Europa – come è ovvio – tanto che l’ospite d’onore del Forum (per il resto un po’ in tono minore) è stato il presidente cinese Xi Jinping, accompagnato dall’imprenditore miliardario Jack Ma, creatore di Alibaba, oggi il primo mercato mondiale per gli scambi commerciali su Internet. Tra le «star» invitate anche la premier britannica Theresa May, campionessa della Brexit, in procinto di lanciare il Regno Unito in una nuova avventura neoliberista, recidendo i lacciuoli che lo legavano alla vecchia Europa.

Tra gli ospiti anche Anthony Scaramucci e Stephen Schwarzman, due dei consiglieri economici di Donald Trump. Anche su di lui, e non solo sul numero dei megamiliardari, l’anno scorso il WEF aveva preso una enorme cantonata. Nel rapporto conclusivo della rassegna, conosciuto come Davos Consensus, si leggeva: «Il sostegno di cui gode il candidato repubblicano è troppo fragile perché possa spingerlo oltre la soglia delle primarie del partito, e verso il confronto del voto finale per la presidenza».

Insomma, tocca studiare di più e capire meglio il popolo e gli odierni populismi: quindi ben 15 sessioni dedicate al cambiamento climatico e 9 all’energia pulita, cercando di spingere sull’implementazione degli accordi di Parigi. Tavoli di lavoro su politiche fiscali e finanziarie di governi e banche centrali, e per la prima volta quest’anno il numero dei sindacalisti e degli esperti di sociologia economica supera quello dei finanzieri.
L’imperativo (perlomeno enunciato) è trovare nuovi mezzi per riequilibrare la scala dei redditi, e compensare la disuguaglianza creata dal progredire della globalizzazione.