«I magistrati non sono capaci di fare politica, non sanno gestire il consenso», ha detto ieri Piercamillo Davigo al convegno sulla giustizia organizzato dal Movimento 5 Stelle alla Camera, quasi a tirarsi fuori dalla caccia al ministro del governo Di Maio che da giorni si è scatenata tra le fila dei grillini. Davigo smorza le speranze dei suoi sostenitori a 5 Stelle, blandendoli con una battuta: «Non sono interessato alla politica ma ai politici che rubano»). Più enigmatico il pm palermitano Nino Di Matteo: «Non voglio rispondere a questa domanda ma nemmeno eluderla. Non sono d’accordo con chi pensa che l’esperienza di un magistrato non possa essere utile alla politica». Luigi Di Maio si muove da settimane come candidato premier. Le telecamere hanno catturato una frase detta dalla platea di un altro convegno, in Vaticano, alla sindaca Virginia Raggi, che testimonia il suo ottimismo: «Questo è un momento interessante, finalmente forse li possiamo mandare a casa». «Il nostro obiettivo è coinvolgere le forze migliori del paese», ha detto Di Maio ieri. La corsa del Movimento 5 Stelle al governo si consuma con questo mutamento, sotto il segno del lavorio dietro le quinte di Davide Casaleggio. Ormai non è tempo di evocare la democrazia diretta o il governo della rete, quanto invece di presentarsi come la forza sana, in grado di garantire davvero competenza e affidabilità.

Non si sa ancora in che modo avverranno le consultazioni online per decidere chi sarà il candidato a Palazzo Chigi. Quello che pare certo, è che se fino a qualche settimana fa erano programmate per l’inizio del prossimo autunno, adesso, con l’avvicinarsi delle elezioni, si pensa di celebrare tutto entro il mese di luglio. Alla Casaleggio Associati sono già alle prese con sondaggi e indici di gradimento. Servono a capire in che modo presentarsi alle prossime elezioni politiche, ma anche a valutare le caratteristiche della proposta di governo: dovrà essere formato da tecnici o da esponenti grillini? Questo è il motivo per cui diverse facce note della compagine pentastellata vengono sottoposte alla valutazione di focus group e campioni di riferimento. L’operazione di scrematura e misurazione del peso di ognuno serve anche a capire chi e come debba essere ricandidato, e fino a che punto il vertice possa tenersi le mani libere per la composizione delle liste. Il che crea una grande apprensione presso la nutrita compagine parlamentare. Che infatti non si sbilanciano sugli sviluppi futuri della grande svolta grillina di questi giorni. Il sì al modello tedesco in versione italica, però, dice chiaramente che se la prossima legislatura (stando alle regole ancora in vigore tra i 5 Stelle) sarà per i big del M5S in Parlamento la seconda e ultima, allora questi non hanno nessuna intenzione di stare a guardare. Stando allo schema semplice eppure efficace seguito dal M5S fino ad oggi, l’accordo sulla legge elettorale tra Renzi e Berlusconi poteva essere un’occasione d’oro per gridare all’inciucio e presentarsi come alternativa assoluta. Accettando la responsabilità di votare la nuova legge, invece, il M5S rinuncia alla sua logica tipicamente maggioritaria (o noi o loro, intesi come tutti gli altri) e in nome del pragmatismo punta dritto ad un Parlamento nel quale bisognerà cercare convergenze. Uno dei pochi giornalisti seguiti dai grillini, Marco Travaglio, ha suggerito l’alleanza con quello che si muoverà alla sinistra del Pd. Ma osservando i sondaggi e valutando le linee programmatiche, c’è chi considera molto più realistica la convergenza post-voto con la Lega. Se il M5S dovesse superare il Pd e la Lega battere Forza Italia, è il ragionamento, allora Mattarella dovrà dare l’incarico a Luigi Di Maio.

Curiosamente, la strada verso il governo nazionale riparte dalla Sicilia, cioè da dove il M5S raccolse il primo clamoroso trionfo elettorale, nel novembre del 2012. Nei prossimi giorni Roberto Fico e Alessandro Di Battista batteranno l’isola, da Trapani a Palermo, nei comuni che si apprestano al voto. Mercoledì prossimo, invece, nel capoluogo di regione arriverà Beppe Grillo in persona, a dare slancio a una campagna cominciata con divisioni e veleni a causa delle indagini sull’irregolarità della presentazione delle liste.