Piercamillo Davigo oggi compie settant’anni, ieri è stato collocato in pensione dalla magistratura ed è decaduto dal Consiglio superiore della magistratura. Una sequenza di avvenimenti logica, ma per niente automatica. Tant’è vero che ieri il plenum del Csm ne ha discusso per quattro ore, dividendosi alla fine come si era già divisa la commissione. Decisiva per orientare un Consiglio in partenza spaccato quasi a metà è stata la scelta del comitato di presidenza, vale a dire dei due componenti di diritto – il procuratore generale e il primo presidente della Cassazione – e del vice presidente del Csm che di norma rappresenta il capo dello stato. I tre con nettezza si sono schierati a favore della decadenza, spostando voti tra i consiglieri che si erano dichiarati di opinione opposta e che invece hanno preferito adeguarsi o astenersi per «senso istituzionale».

Per la decadenza di Davigo hanno votato in tredici su ventiquattro (al plenum manca un consigliere dopo le dimissioni di Mancinetti, ultima conseguenza del caso Palamara): i tre componenti del comitato di presidenza – il primo presidente Curzio, il pg Salvi e il vice presidente Ermini – i tre componenti della destra togata di Magistratura indipendente e i due del centro di Unicost, le correnti travolte dal caso Palamara, e il togato senza corrente Di Matteo. Per la decadenza anche due consiglieri laici di Forza Italia, un laico su due della Lega e uno dei tre consiglieri eletti dal M5S. Contro la decadenza i tre consiglieri di Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata da Davigo (lui non ha partecipato al plenum), un consigliere M5S e due togate sui cinque consiglieri di Area, la corrente di sinistra: Dal Moro e Chinaglia. Si sono invece astenuti gli altri tre consiglieri togati di Area, Cascini, Zaccaro e Suriano, assieme a un consigliere laico della Lega e a uno dei 5S. «È nostro dovere non accentuare le spaccature», ha detto Zaccaro.

Il dibattito nel plenum ha ruotato attorno alla domanda se sia legittimo o meno che un magistrato non più nelle funzioni conservi l’incarico di consigliere. Questione meno semplice da risolvere di quanto appaia, perché la legge nulla prevede e trattandosi della decadenza da un organo costituzionale sono escluse interpretazioni estensive o per analogia. Inoltre fino al 1990 la legge sul Csm prevedeva come causa esplicita di decadenza dei togati la cessazione dalle funzioni, ma la previsione è stata tolta quando è stato introdotto l’obbligo per i consiglieri del Csm di essere collocati fuori ruolo. Il che non autorizza più a considerare la permanenza effettiva nelle funzioni come caratteristica indispensabile dei consiglieri. Ma ha prevalso la tesi opposta, favorevole alla decadenza. Non tanto per le argomentazioni contenute nella relazione della commissione verifica poteri, esposte dalla togata di Mi Miccichè e centrate su una sentenza del Consiglio di stato del 2011 in base alla quale la legge non prevede esplicitamente la decadenza del consigliere che va in pensione perché «lo si dà per scontato». Tesi gracile, ha sostenuto il consigliere di Area Cascini – all’inizio contrario, poi astenuto – soprattutto in vista del probabile ricorso che Davigo presenterà al Tar. A pesare è stato soprattutto l’intervento del presidente Curzio, convinto che la permanenza nel consiglio di un “non più magistrato” avrebbe squilibrato la composizione dell’organo, stabilita dalla Costituzione in due terzi di magistrati e un terzo di laici. Dare ragione a Davigo, questa la preoccupazione, avrebbe aperto la strada a candidature plurime di toghe sulla soglia della pensione con il rischio di svuotare il Consiglio dai magistrati in carica. Al fondo c’è una vecchia questione, se il Csm debba considerarsi l’organo di autogoverno dei giudici o piuttosto, come lascia pensare la presenza dei consiglieri laici, di governo autonomo.

La cacciata di Davigo avrà conseguenze sull’equilibrio del Consiglio. Anche sulla sezione disciplinare, che da questa settimana affronterà i casi degli altri magistrati coinvolti nello scandalo, oltre Palamara (appena espulso dalla magistratura). Sia Davigo che il consigliere Mancinetti andranno sostituiti (con voto del plenum) e Celentano, il magistrato di Cassazione che subentra a Davigo, aderisce a Unicost. La battaglia parte proprio dalla sostituzione di Mancinetti: una corrente di pensiero vuole che il suo posto vada al primo dei non eletti nelle recenti suppletive, cioè Grasso di Mi. Il che riporterebbe le toghe di centrodestra alle soglie di quella posizione di controllo che avevano nel Csm prima del caso Palamara e delle dimissioni conseguenti.