Le dichiarazioni tanto fumose quanto inquietanti rese l’altro giorno da Davide Casaleggio a un quotidiano stanno suscitando una quantità di reazioni per lo più giustamente negative, considerata anche la facilità con cui l’intervistato si è prodotto in affermazioni che per la loro gravità andrebbero ben altrimenti argomentate.

A MENO CHE NON SIANO da intendere come pure e semplici espressioni di una concezione ideologica esplicitata a sostegno di un’azione politica che sarebbe già in atto, considerato il ruolo guida che questo signore esercita nei riguardi di quello che ora è il maggiore partito politico italiano.

Così, per restare al passaggio che più desta stupore, l’affermazione circa il superamento del ruolo costituzionale della rappresentanza parlamentare, e quindi inevitabilmente della Costituzione stessa, è sì motivata dal mutare dei tempi e dall’avvento delle nuove tecnologie, ma questo non ha comportato alcuna riflessione circa i rischi per la democrazia impliciti nel venir meno di un organo di mediazione e di controllo senza il quale si cade di fatto in una forma di dittatura, che per essere nuova rispetto a quelle sperimentate non dovrebbe essere meno preoccupante, a meno che non si abbia da proporre una nuova architettura costituzionale aggiornata ai tempi.

MA NON È QUESTO IL CASO. Il presidente della Piattaforma Rousseau procede in modo spiccio.

Non ha dubbi circa il fatto che le novecentesche forme di democrazia parlamentare saranno prima o poi sostituite, grazie alla Rete e alle tecnologie, da «strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività del volere popolare». Si tratterebbe insomma di una necessità storica, che in quanto tale non può essere contrastata, poiché «il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile»; bisogna prenderne atto e di adeguarsi.

A CONTROPROVA ci sarebbe il successo elettorale del Movimento, che essendo giunto per primo a comprendere l’orientamento preso dalla Storia, sarà verosimilmente destinato a esercitare un’influenza politica totalizzante. Infatti, a suo avviso, «la democrazia partecipativa è già una realtà grazie a Rousseau, che per il momento è stato adottato dai 5s, ma potrebbe essere adottato in molti altri ambiti».

Vale a dire come modalità unica di espressione della volontà politica dei cittadini? Ma raccolta e gestita da chi? Attraverso quali procedure? Con quali organi di controllo? Nel frattempo il Movimento ha una cospicua rappresentanza parlamentare, è al governo ed è chiamato a svolgere la sua funzione di rappresentanza della volontà popolare in concorso o in concorrenza con altre forze politiche. C’è contraddizione con quel che afferma il proprio ideologo? Sì, a meno che nella sua mente l’attuale fase politica non costituisca altro che una tappa della conquista del potere assoluto per via democratica.

VEDREMO. MA INTANTO a chi crede che al contrario la storia la fanno gli uomini con le lotte, le loro pene, le conquiste, compete non solo di smascherare insidie vecchie e nuove alla democrazia, ma altresì di pensare a fondo lo stato attuale delle cose per quel che concerne la vita civile, culturale e politica del Paese. Dunque di opporre alle prospettive strumentalmente semplicistiche, soluzioni all’altezza delle questioni incombenti. E per restare in tema, innanzitutto la questione circa il processo di formazione e selezione della classe politica e delle rappresentanze, indispensabile per opporre alle suggestioni ideologiche un rinnovamento radicale del modo di pensare e praticare la politica nel quadro costituzionale, avendo presente le criticità attuali del sistema.

PENSO IN PARTICOLARE alla crisi che negli ultimi venti anni ha investito i partiti, riducendoli a puri collettori di consenso elettorale per un verso e per l’altro a piattaforme di potere sempre più separate dall’elettorato. Su questo giornale Guido Liguori si è richiamato alla gramsciana «democrazia consigliare» in quanto forma opposta a quella che si vorrebbe «diretta» o meglio «immediata», e altresì distinta ma non alternativa a quella parlamentare, nella misura in cui le rappresentanze a tutti i livelli si costituirebbero sulla base di gruppi di elettori socialmente omogenei e cui gli eletti resterebbero legati dal vincolo di mandato.

Si tratterebbe perciò di trovare una formula che renda compatibili queste due forme a tutto vantaggio di un ritrovato radicamento dell’azione politica nella concreta articolazione della vita sociale.

PUÒ ESSERE una buona indicazione su cui lavorare in prospettiva. Nell’immediato penso che la galassia in frantumi della sinistra dovrebbe sentire il dovere di cercare ogni via percorribile per ricostituire legami reali con la società nel quadro della democrazia parlamentare, profittando della sua attuale disfatta per ritrovare la ragion d’essere. Zingaretti punta a ridare vita al Pd e oltre puntando tutto sulla base, vale a dire alleanze civiche, associazionismo cattolico, reti di persone e associazioni. Penso che sia tutt’altro che sufficiente a invertire la rotta. Non basta fare riferimento a quel poco o tanto di organizzato che resta, giusto quanto serve per ricucire forze disperse e porle al servizio di un’organizzazione politica verticistica e progettualmente esangue.

OCCORREREBBE AL CONTRARIO riconoscere in tali realtà civiche e religiose, nonché in riviste, gruppi, associazioni culturali e lavorative la ricchezza di una pluralità di saperi sociali, di esperienze politiche, di visioni culturali da rendere operative in una progettualità politica che muove dal basso e trova nell’organizzazione partitica un punto di coordinamento, una capacità di dare forma operativa a istanze che resterebbero altrimenti politicamente inerti.

Di conseguenza i partiti dovrebbero ricostituire le proprie strutture e personale politico su tale base e, soprattutto, abdicare alla pretesa – che da sempre connota l’idea stessa di partito – di decidere dall’alto le rappresentanze a tutti i livelli. Com’era nella concezione di Gramsci, le candidature dovrebbero emergere dalle realtà di base e rispondere ad esse del proprio mandato, oppure, come proponeva in quegli stessi anni Simone Weil, gli eletti dovrebbero assumersi in prima persona la responsabilità delle scelte politiche nel vivo del dibattito parlamentare.

ALLA SINISTRA, di fatto, non è data oggi altra alternativa per tornare a svolgere un ruolo politico al servizio del Paese, che non sia mettersi in condizione di maturare una concezione della politica in grado di dare sostanza alla democrazia.

È questo il compito gravoso che ha di fronte nell’attuale contingenza storica tanto gravida di insidie. Il timore è che non riuscirà a farvi fronte, non perché manchino energie diffuse nel corpo della società, ma per incapacità a riconoscere fino in fondo la parte grande di responsabilità che ha avuto nel determinarla.