La testa, il genio e la follia. Tutto insieme, in un unico corpo; quello saettante e felino del sessantunenne David Byrne. L’ex magnifico istrione dei Talking Heads, autore di colonne sonore, collaborazioni a più riprese con Brian Eno, escursioni nella musica etnica, il Brasile. E poi inventore di mobili (!), regista e attore (anche per Sorrentino in This must be the place) e di una disco opera Here Lies Love con Fat Boy Slim. Un artista che si rimette sempre in discussione. Un anno fa ha iniziato una collaborazione con la stellina fulgida di Brooklyn, che è ormai una sorta di mecca della scena indie a stelle e strisce, Annie Clark in arte St. Vincent, e insieme hanno prodotto un disco a quattro mani Love This Giant che stanno promuovendo attraverso un tour mondiale che ha fatto tappa in Italia a Brescia, Padova, Roma per chiudere ieri sera al teatro Verdi di Firenze. Un album che è un concentrato di idee, pieno di pop e rock, sorretto da una ritmica che sollecita più di un giro birichino sul dance floor.

Ma a rendere il mix esplosivo è la sezione fiati, un terremoto sonoro formato da un ottetto (tromboni, tromba, sassofoni, tuba e corno francese) che mette insieme membri degli Antibalas e dei Dap-Kings. Non a caso, perché è proprio l’apporto dei fiati ad aver suggerito quattro anni fa la collaborazione fra Byrne e St. Vincent, costretti da un’amplificazione «indecente» durante una esibizione a Manhattan a risolvere senza cavi e microfoni, il problema della sonorizzazione. Un risultato così soddisfacente e alla base della genesi delle canzoni di Love This Giant alternate, nel live, a pezzi tratti dei rispettivi repertori.

Annie – ora con zazzera bionda platino, gonna corta, zatteroni, si muove sulla scena come una bambola-robot seguendo il canovaccio «suggerito» da Byrne, bretellone su un completo rigorosamente bianco. Un caos – in realtà molto ordinato – dove ogni musicista e allo stesso tempo comprimario e protagonista e si muove di conseguenza.

Almeno questo è quello che l’ex Testa Pensante vuole farci credere, perché lo show è una perfetta macchina del ritmo dove nulla è lasciato al caso. Una scaletta che mescola le novità – The Forest Awakes, Optimist – cantate all’unisono da due voci diverse, vibrante e apparentemente sconnessa quella dell’autore di Psycho Killer, sensuale e squillante l’ugola della stella americana, ma che si armonizzano alla perfezione.

Byrne gioca e ripesca dal passato – Wild Wild Life e nei bis fa letteralmente saltare la platea dell’Auditorium di Piano con incandescenti versioni di This Must be the Place e di Road to Nowhere, suonate salutando la platea e sgattaiolando, leader e musicisti, dalle uscite laterali. «Siamo due freak, ma di quelli innocui» – scherza Annie durante la presentazione della band – a dimostrazione che l’arte musicale con la A maiuscola può anche far divertire. Moltissimo.