Mercoledì mattina in camera di consiglio, con l’intervento solo delle parti – gli avvocati delle otto regioni proponenti e gli avvocati delle associazioni che si oppongono – la Corte costituzionale giudicherà sull’ammissibilità del referendum elettorale voluto dalla Lega. È un passaggio chiave della legislatura. Se il referendum fosse ammesso, la vittoria dei sì impatterebbe sul sistema politico e istituzionale quanto e più di una riforma costituzionale. L’Italia avrebbe una legge elettorale come quella inglese, un maggioritario spinto che, nella situazione attuale, consegnerebbe alla destra – alla Lega – il controllo pieno del parlamento e delle maggioranze di garanzia. Di fronte a un tale rischio le forze di maggioranza potrebbero essere tentate dalla crisi e dal conseguente scioglimento anticipato delle camera, in questo modo rinviando di un anno il referendum. Anche perché nei prossimi tre-cinque mesi è ancora possibile tornare a votare per eleggere il parlamento nella sua composizione attuale, con 630 deputati e 315 senatori. La presentazione venerdì delle firme di 71 senatori che chiedono il referendum sulla riforma costituzione, infatti, avrà l’effetto di sospendere la promulgazione del taglio dei parlamentari. Proprio l’incrocio con il referendum costituzionale, che a differenza di quello abrogativo proposto dai consigli regionali non prevede quorum e si può tenere anche in caso di elezioni anticipate, è alla base delle riflessioni e delle previsioni dell’ultim’ora attorno all’attesissimo giudizio della Corte costituzionale.

Gli avvocati hanno depositato le loro memorie. Mario Bertolissi e Giovanni Guzzetta per gli otto consigli regionali proponenti e Felice Besostri e Pietro Adami per le associazione Coordinamento per la democrazia costituzionale, Attuare la Costituzione e il gruppo parlamentare di Liberi e uguali. I giudici della Consulta e i loro assistenti hanno cominciato da tempo a lavorare sul caso, la relatrice è la giudice Daria de Pretis. Tutto ruota attorno al principio sempre tenuto fermo dalla Consulta della «costante operatività» degli organi costituzionali. Significa che il paese non deve stare un solo giorno senza poter eleggere deputati e senatori. Dunque la legge elettorale che può venir fuori dal referendum deve sempre essere immediatamente applicabile, «auto applicativa». Nel caso di questo referendum, dal momento che la vittoria dei sì cancellerebbe i collegi proporzionali e li trasformerebbe tutti in collegi uninominali (vince chi arriva primo), la «auto applicabilità» è affidata a una delega al governo a disegnare «entro 60 giorni» i nuovi collegi. Questa delega era stata prevista per disegnare i collegi in funzione della riforma costituzionale che ha tagliato i parlamentari. Adesso – secondo l’interpretazione dei proponenti – può valere anche nel caso di cambio del sistema elettorale. Il fatto che la riforma costituzionale sia sospesa, in attesa del referendum costituzionale, sospende anche la delega, e dunque la «tiene viva» (non scade) anche per il referendum abrogativo.

Secondo Besostri e Adami così non è, perché la Costituzione impone che la delega sia affidata al governo dal parlamento, mentre in questo caso sarebbe direttamente il popolo degli elettori a darla. In più la Costituzione (articolo 76) impone che la delega sia assegnata per un «tempo limitato», ma dal taglia e cuci del referendum resterebbe in piedi solo il termine di 60 giorni non si dice più da quando, e «per oggetti definiti», ma il titolo della legge delega parla esclusivamente di adattamento al taglio dei parlamentari.

C’è un problema in più, riconosciuto dagli stessi avvocati della Lega. La delega è una soltanto: se fosse usata per adeguare la legge elettorale alla riforma costituzionale si «consumerebbe» e non sarebbe più utilizzabile per aggiornare i collegi al nuovo sistema di voto uninominale. E viceversa. Bertolissi e Guzzetta affidano la soluzione alla «leale collaborazione» di governo e presidente della Repubblica. Il primo dovrebbe rinviare al massimo il referendum costituzionale (fino a luglio), il secondo dovrebbe avvalersi della prerogativa di congelare per 60 giorni gli effetti della vittoria dei sì: in questo modo la delega a ridisegnare i collegi potrebbe essere usata una sola volta e insieme, sia per la riforma costituzionale che per la nuova legge elettorale.

Forse consapevoli dell’azzardo, i difensori del referendum hanno già calato la carta di riserva. Chiedendo alla Corte di giudicare incostituzionale lo stesso principio di «auto applicabilità». E stabilire che le leggi elettorali possono essere sottoposte a referendum abrogativo sempre, anche se dalla vittoria dei sì non dovesse venir fuori un sistema funzionante. I giudici dovrebbero prendere questa decisione sollevando autonomamente la questione di costituzionalità davanti a loro stessi. Una soluzione che ha pochissimi precedenti.