«Non cambio idea. Non voto la fiducia». Alfredo D’Attorre oggi non risponderà alle ’chiamate’ della fiducia sull’Italicum. È stato il primo a dirlo, giorni fa, augurandosi che il governo non mettesse la fiducia sulla legge. Ieri anche Bersani, Speranza e Letta, oltre a Fassina e Bindi, hanno annunciato che faranno lo stesso.

Cosa significa per lei non votare la fiducia al proprio governo?

Significa non piegarsi a un atto grave e ingiustificabile; dire al paese e ai nostri elettori che nel Pd c’è chi non sta a questa torsione dell’ordinamento democratico e dell’equilibrio costituzionale. E tenere aperta l’idea di un altro Pd, coerente con i suoi valori e la sua cultura delle istituzioni.

Non molti i deputati faranno come lei.

I numeri li vedremo alla fine. È materia su cui non c’è disciplina di partito e sarebbe ridicolo imporre una disciplina di corrente. Credo che l’area del dissenso alla fine risulterà più estesa di quanto si crede. Ma fuori dal parlamento c’è un mondo largo di sinistra che chiede gesti chiari e coerenti per continuare a credere che il Pd non è deformato e piegato alla concezione renziana. Il fatto che ci siano voci che dicono chiaro ’non ci sto’ è essenziale per non consumare un divorzio definitivo fra Pd e sinistra.

Così si metterà fuori dal Pd?

Incompatibile con il Pd non è la mia scelta, ma quella di mettere la fiducia sulla legge elettorale. Questa non è una fiducia ordinaria. Ne abbiamo votate molte in passato, potremo votarne altre in futuro. Ma questa volta si tratta di pronunciarsi su una scelta fuori dalla nostra cultura e dalla nostra concezione.

Ma anche dalla sua corrente criticano le vostre posizioni ’massimaliste’.

Rispetto tutti, ma il concetto di minoranza va ridefinito altrimenti diventa una rendita di posizione per contrattare spazi di rappresentanza o di visibilità. Sta in minoranza chi con atti concreti afferma una linea distinta da quella renziana. Chi, legittimamente, segue il segretario anche sulla fiducia non può parlare a nome di chi vuole costruire un altro Pd alternativo al renzismo.

’Un altro Pd’ è uno slogan da congresso. Che per Renzi sarà nel 2017.

A maggior ragione ora, credo che i tempi di un confronto interno debbano essere molto più ravvicinati. Renzi in questi mesi ha fatto scelte mai discusse con iscritti ed elettori. Questo spiega perché c’è un mondo vasto a sinistra che fatica a riconoscersi nel Pd. Se vogliamo evitare il definitivo snaturamento del progetto, almeno su alcuni nodi dobbiamo interpellare i nostri iscritti ed elettori.

Ma la base segue Renzi. Alla festa di Bologna non hanno invitato neanche o un ex leader emiliano come Bersani.

Non credo che quella scelta sia stata condivisa dalla base del Pd di Bologna. E il fatto che il Pd nazionale non sia intervenuto a verificare il rispetto del pluralismo, per non dire della buona creanza, in una festa nazionale indica lo stato di abbandono in cui versa il partito.

Perché non ha votato la sospensiva all’Italicum che era identica ad uno dei suoi emendamenti?

Perché significava voler impedire la discussione. E noi volevamo l’opposto: confrontarsi per modificare il testo. Nessun sabotaggio.

Bersani e Cuperlo non l’hanno votata.

Non significa molto. La vera scelta politica sarà non partecipare alla fiducia.

Perché non vi siete opposti alle sostituzioni in commissione?

Sul piano regolamentare non avremmo comunque vinto. Ma abbiamo espresso un dissenso politico chiaro e forte.

Brunetta parla di ’fascismo renziano’. Vendola di ’squadrismo istituzionale’. Sottoscrive?

Queste parole in Italia hanno un significato storico preciso, e il 70ennale della Liberazione ce lo ha ricordato. Qui non siamo al nuovo fascismo ma una concezione della democrazia più verticistica, meno partecipata, incompatibile con la cultura del Pd. E che rischia di indebolire lo stesso governo Renzi. La fiducia è un atto di arroganza. E come spesso capita anche nella vita, nasconde debolezze e insicurezze.

Renzi ha messo la fiducia perché su qualche emendamento rischiava, oppure ha fatto un gesto dimostrativo?

Entrambe le cose. Da una parte voleva evitare il rischio di modifica del testo, dall’altra ha perso il senso del limite. E come se avesse smarrito l’idea di una democrazia che vive di limiti e contrappesi. Ormai chiunque manifesti un’idea è un ostacolo da abbattere. Il che rischia di produrre torsioni preoccupanti su l piano istituzionale.

Civati ha detto: o mi cacciano o me ne vado, preferisco andarmene. Lei?

Mi ha detto che era una battuta nel corso di una trasmissione umoristica. Noi dobbiamo far vivere la nostra battaglia nel partito e provare a ricongiungere il Pd con le sue radici e con il mondo della sinistra. Poi, certo, nessuno di noi sa come finirà questa battaglia.

Renzi è una macchina da guerra mediatica. Non avete paura di essere ’asfaltati’?

C’è un mondo vasto che aspettava qualcuno in grado di tenere la schiena dritta edi dimostrare che le idee vengono prima delle poltrone. Questo segnale può rappresentare un punto dal quale ripartire per costruire un’altra idea di Pd e un altro rapporto fra il Pd e le istituzioni.