Gli italiani potrebbero perdere il controllo sui propri dati se l’Istat affiderà i servizi informatici a una società esterna. È questa la conclusione a cui sono giunti gli esperti nazionali e internazionali intervenuti al convegno «Informatica e statistica pubblica» organizzato ieri in maniera autonoma dai ricercatori e dai tecnici dell’Istat presso la sede romana dell’istituto. Il tema è all’ordine del giorno da quando il governo Draghi ha deciso la creazione di una società di diritto privato denominata 3-I SpA – nata ufficialmente lo scorso 12 dicembre – a cui saranno devoluti i servizi informatici di Inps, Inail e, appunto, Istat. Esternalizzare a una software house il flusso dei dati ufficiali su persone e imprese è un’operazione quanto mai delicata. Coinvolge ovvi aspetti sindacali che riguardano i lavoratori e le risorse pubbliche da trasferire alla nuova azienda. Ma tocca soprattutto la qualità e il controllo sui dati pubblici, un patrimonio conoscitivo strategico per un Paese nell’era dell’informazione. Negli ultimi anni le fasi di raccolta, elaborazione e interpretazioni dei dati si sono del tutto integrate. Separarle artificialmente per subappaltarne una parte a una ditta esterna non è affatto facile. Significa mettere a rischio la sovranità sui dati di tutti noi e frammentare le competenze dei ricercatori in nome di un inspiegabile imperativo alla privatizzazione. «A noi ricercatori – è un commento raccolto nei corridoi – l’istituto non permette nemmeno di usare servizi comunissimi come Dropbox o Gmail per questioni di sicurezza, e ora vogliono mandare i dati degli italiani su server esterni».

Dopo aver dato vita a scioperi, manifestazioni e assemblee di protesta, ieri i lavoratori dell’Istat hanno invitato la comunità scientifica internazionale a esprimersi sul singolare progetto governativo. Il responso giunto dagli esperti è di una sonora bocciatura. Trygve Falch, capo divisione a Statistics Norway – l’Istat norvegese – fa notare che tutte le analisi più aggiornate sul tema consigliano di non separare la gestione informatica dei dati dalla loro raccolta e analisi. «Da noi la tendenza attuale è esattamente all’opposto negli uffici pubblici» ha spiegato. «Stiamo diminuendo il ricorso alle consulenze esterne e assumendo più personale interno perché ogni fase della statistica oggi ha a che fare con l’informatica. Al dipartimento del lavoro e del welfare era stata fatta un’operazione simile a quella di 3-I, ma è stato un fallimento e il governo ha fatto una totale marcia indietro». Perplesso anche Giovanni Barbieri, autore del recente «Le memorie del paniere» (Donzelli, 2022), che dell’Istat è stato direttore centrale fino a pochi mesi fa: «non si capisce quale sia lo scopo di questa esternalizzazione». Trevor Fletcher, ex-capo dei sistemi informatici per la statistica all’Ocse, oggi consulente indipendente e uno degli esperti a cui l’Onu ha affidato la stesura delle linee guida per i sistemi statistici nazionali, sconsiglia la strada della privatizzazione. «Le funzioni informatiche relative agli uffici statistici nazionali sono molto diverse da quelle di altre istituzioni: è un mercato di nicchia ed è difficile trovare sul mercato le competenze necessarie. Il rischio di perdere competenze da parte delle istituzioni è elevato». D’accordo il suo collega Zoltan Vereczkai dell’ufficio nazionale di statistica dell’Ungheria, che pone l’accento sul rapporto tra società e istituzioni. «C’è il rischio che subappaltando la gestione dei dati se ne smarrisca il controllo e si perda la fiducia dei cittadini. Si rischia di fare più male che bene». Pure Davide Lamanna, chief technology officer della società Binario Etico e analista attento del capitalismo delle piattaforme, è critico per il metodo usato dal governo: «non aver ascoltato i tecnici e i ricercatori dell’Istat in questo processo è stato un errore da parte del governo».

Anche ieri gli esponenti della maggioranza hanno declinato l’invito dei ricercatori Istat, peraltro soddisfatti per il successo (450 i partecipanti registrati). Probabilmente i politici avranno avuto poco da dire, ma hanno perso un’occasione preziosa per prendere appunti.