L’Isola artificiale di Yumeshima, nella baia di Osaka, ospiterà l’esposizione universale 2025 dedicata alla società del futuro. A gennaio sull’isola sono iniziati i lavori per trasformarla in una smart city – una città ad alta tecnologia – con bus a guida autonoma e robot infermieri. «Vogliamo utilizzare le tecnologie più avanzate per la vita dei cittadini» ha dichiarato nella recente conferenza stampa di insediamento il nuovo governatore di Osaka, Yoshimura Hirofumi. Il suo piano si inserisce a sua volta nella strategia governativa chiamata «Società 5.0», una società digitale e automatizzata, di cui la smart city rappresenta l’espressione topografica.

Poco lontano da Osaka sorge la città della scienza di Keihenna, un centro di ricerca sulla vita «smart», che ospita ogni anno il Kyoto Smart City Expo. L’esposizione offre una panoramica sui progetti realizzati fino ad ora in Giappone verso la città del futuro e la «Società 5.0». Quattro smart city pilota furono già realizzate su iniziativa del governo tra il 2010 e il 2014, tra cui Keihenna stessa. Ad oggi se ne sono aggiunte molte altre, che si focalizzano però su di un solo settore della futura città: l’energia, la gestione rifiuti, la sostenibilità, la mobilità, la logistica.

I progetti più importanti e diffusi sono quelli che si concentrano nel settore energetico: sull’efficienza della rete, del consumo e della distribuzione.
Il disastro atomico del 2011, infatti, ha reso prioritaria l’ottimizzazione delle risorse energetiche nel paese, a causa della chiusura delle centrali nucleari. In quest’ottica, la smart city giapponese è anche la risposta al bisogno di resistenza ai disastri naturali tramite reti semiautonome in grado di continuare a funzionare indipendentemente dal resto della rete.

La Città sostenibile di Fujisawa, a 50 chilometri da Tokyo è stata una delle prime smart city a essere popolata ed è considerata una delle più complete. È progettata per ospitare 1.000 nuclei familiari, avere emissioni ridotte con piena autosufficienza energetica e un sistema di mobilità condivisa. Qui le informazioni sono la chiave della smart city e partono dal piccolo di ciascuna casa, grazie all’internet of things.

L’intera città è gestita tramite una piattaforma centralizzata per il monitoraggio dei consumi e l’accesso ai servizi pubblici, dall’illuminazione alla sanità. Il centro controllo dati è il fulcro della gestione di tutte le domande e le offerte della comunità, a partire da quelle energetiche. Fujisawa è un smart city a iniziativa privata, guidata dalla Panasonic in consorzio con altre 8 imprese, che nel 2012 ha così riqualificato un suo sito industriale. Secondo un rapporto del Centro per la cooperazione industriale Ue-Giappone sul tema, la funzione delle smart city d’impresa è in primo luogo quella di fare da vetrina per prodotti e servizi delle ditte coinvolte con l’obiettivo della commercializzazione. L’aspetto più importante per il futuro di questa città sembra, allora, essere che il business plan ne preveda la sopravvivenza ben oltre la fine dei contributi governativi.

La stazione Sannomiya, nel centro della città di Kobe, offre un esempio diverso. In un complesso sotterraneo con 120 negozi chiamato «Santica» l’Università di Kobe sta realizzando un sistema di controllo del movimento e della temperatura dell’aria tramite l’intelligenza artificiale.

Una rete di sensori rileva il movimento delle persone e delle masse d’aria e, a regime, ne predirà i flussi, minimizzando di conseguenza sia i consumi di riscaldamento e raffreddamento che le emissioni. Qui il progetto pilota è stato commissionato del Ministero dell’Ambiente e la speranza delle autorità è che faccia da fulcro della trasformazione “smart” dell’intero centro città, dato che l’alta densità di costruzioni rende la transizione più facile.

Usare la vasta mole di dati generati per favorire la partecipazione al processo decisionale cittadino non pare avere, invece, molto spazio. Le città smart dal nome aziendale e gestite con business plan sembrano realizzate più per utenti-consumatori che per cittadini.

La smart city di Kitakyushu è spesso citata come un esempio di partecipazione, con riunioni e feedback degli abitanti, ma anche qui uno studio dell’Università Chuo rivela che le riunioni servono più a guidare il comportamento degli abitanti che non a influire sulle decisioni di gestione.

L’isola di Yumeshima o il Keihenna, che si raggiunge da Osaka dopo un tragitto prima in treno e poi in bus, ci ricordano però quale sfida sia quella dell’integrazione delle soluzioni smart nel tessuto urbano della città. Si tratta spesso di realtà pianificate e realizzate separatamente dal tessuto urbano, proprio come delle isole. Al momento sembra proprio questo l’aspetto più critico rispetto ad una diffusione organica della smart city.

Il Giappone ha già attraversato nella sua storia recente radicali trasformazioni urbane. Nel corso del secolo scorso le vecchie larghe case di legno a un piano, ancora parte degli album di famiglia e non solo dei testi di storia, così ricche di fascino, a rischio incendi e soprattutto -a voce pressoché unanime – fredde, hanno lasciato il posto a enormi agglomerati di case fitte fitte. Uno dei motori di questo sviluppo – oltre alla speculazione edilizia – sono state le alte imposte di successione (l’aliquota massima nel 1987 era del 75 per cento). Nel caso degli immobili, soprattutto dove il valore dei terreni è alto, come a Tokyo o a Osaka, questa ha portato spesso alla necessità di abbattere le vecchie case, frazionarne il terreno e rivenderlo, costruendo nuove case via via molto più piccole di quelle tradizionali o a frazionare verso l’alto, realizzando appartamenti.

Dall’alto di una linea sopraelevata nei sobborghi di Osaka gli unici grandi giardini rimasti alla vista sono quelli dei templi, che proprio perché esenti dalle tasse non hanno dovuto ridimensionare. La città del futuro che vedremo dipenderà più dall’impatto della società 5.0 sulle scelte dei singoli che dall’arcipelago dei piani «smart».