Il nostro pianeta ha 4,6 miliardi di anni, l’homo sapiens è comparso circa 200 mila anni fa. Se in una scala immaginaria riducessimo questi 4,6 miliardi a 46 anni, è come se noi umani fossimo apparsi solo 17 ore fa e la rivoluzione industriale fosse iniziata da 4 minuti. Eppure, in questo brevissimo tempo, saremmo riusciti a spazzare via più del 50% degli ecosistemi, lasciando intatto solo il 2-3% di quelli originari. E dire che gli umani sono lo 0,02% degli esseri viventi sulla Terra: il 90% è costituito da piante.

IL NOSTRO DESTINO E’ DECISO? Pare di sì: siamo proiettati verso l’estinzione, la prima che origina da una causa non naturale. Lo sappiamo, ma non basta. Per fissarlo nella mente possiamo segnarci questa serie numerica, perché probabilmente è la più importante al mondo, come hanno detto Boynd e Golan, i creatori dell’installazione Climate Clock a Manhattan: 7 anni, 102 giorni, 14 ore, 20 minuti e 35 secondi. Questo è il tempo che ci resta prima del punto di non ritorno, prima di una catastrofe climatica irreversibile (anzi ce ne resta meno, perché da quella installazione è già passato un anno).

LA DOMANDA A QUESTO punto è: quanto costa arginare la crisi climatica? La risposta è impietosa: 50 mila miliardi di euro. Ma, dall’altra parte, il costo dell’inazione sarebbe letale.

LE PRIME 100 PAGINE di Non siamo tutti sulla stessa barca (Slow Food Editore), con la prefazione di Luigi Ciotti, sono la sintesi perfetta per chi abbia bisogno di capire, dati alla mano, la portata della distruzione ambientale e climatica che abbiamo generato, e quali scenari futuri – a brevissimo – ci attendono. La firma è del giovanissimo Giorgio Brizio, 19 anni, studente universitario eppure già conosciutissimo: «Attivista per i diritti, nell’epoca dei rovesci» si definisce, volto ormai storico del Fridays For Future italiano che segue Greta Thunberg.

LE RESTANTI 300 PAGINE del libro sono una scossa elettrica continua, che ci invita ad agire subito. Il mare e l’acqua sono il fil rouge di questa potente testimonianza. Secondo un rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre, in tutto il mondo, solo nella prima metà del 2019, circa 7 milioni di persone sono fuggite da una regione all’altra del proprio Paese a causa di alluvioni (nelle Filippine, in Etiopia e in Bolivia), o cicloni (India e in Africa orientale).

L’AFRICA NE ESCE MUTILATA: tra il 40 e il 60% degli scontri armati interni degli ultimi 60 anni sono riconducibili alle risorse naturali; 15 milioni di africani sono rimasti sfollati solo nel 2015. Se le temperature aumenteranno come previsto, assisteremo entro il 2030 a un aumento del 54% del rischio di scontri armati, con 393 mila morti in conflitto. Negli ultimi dieci anni, i disastri naturali hanno colpito in tutto il mondo 1,7 miliardi di persone e ne hanno uccise 700 mila. Dal 2008, in media 26,4 milioni di persone l’anno sono state spinte a migrare da calamità naturali. Catastrofi che hanno causato più di 100 miliardi di dollari di perdite l’anno, cifra che raddoppierà entro il 2030.

SECONDO LE STIME di Banca Mondiale, Oim e Unhcr, 143 milioni di persone sono destinate a diventare migranti climatici. Le aree più esposte sono quelle del cosiddetto Global South: in primis, Sud ed Est Asia, Delta del Nilo, Africa occidentale e subsahariana. Ma attenzione: quella che arriva a noi, in Europa, è solo il 2% della migrazione mondiale. Pochi sanno che in Africa buona parte della migrazione è verso sud, non verso nord. Ad accogliere il maggior numero di profughi sono Uganda, Sudan, Pakistan, Libano e Turchia. In Europa, il primo Paese è la Germania. Neanche paragonabile la nostra Italia.

MA MENTRE TRA IL 2017 e il 2018 gli sbarchi sono diminuiti dell’80%, la mortalità è raddoppiata. A settembre 2018, quasi il 20% di chi è partito è morto. Perché? Perché quasi nessuno presta più soccorso. Con programmi scellerati, l’Europa riporta indietro tutti: Mare Nostrum, Frontex, Triton, Themis hanno condannato a morte migliaia di uomini, donne e bambini. Le navi umanitarie sono diventate gli occhi del mare, scrive Brizio. Che fissano nella memoria atrocità indicibili. La crisi climatica, lato suo, non è cieca, e anzi si abbatte feroce là dove la fragilità sociale è più ampia. «Non siamo tutti sulla stessa barca, piuttosto siamo tutti nella stessa tempesta. Non siamo tutti sulla stessa barca, ma possiamo costruirla».
(I diritti d’autore del libro vengono devoluti a Mediterranea e ResQ, che salvano vite nel Mediterraneo).