Obiettivo del giornalismo di inchiesta è sempre stato quello di indagare il potere, in tutte le sue forme. Corruzione, scandali finanziari e politici e abusi di potere sono sempre stati temi sotto la lente di ingrandimento di quelli che il docente di Harvard James T. Hamilton definisce, nel suo libro eponimo, come i “detective della democrazia”. L’ormai completa digitalizzazione della società e la sua datafication hanno anche contribuito a generare nuove forme di potere, espresse spesso in forma digitale, che impattano in modo diretto sulla democrazia e la sfera pubblica.

Per quanto spesso ancora ancorato a un immaginario molto classico, fatto di redazioni polverose e lavoro solitario, il giornalismo di inchiesta ha trovato proprio negli strumenti e nei modi del digitale alcuni alleati cruciali. Con il loro apporto, questa forma così importante del giornalismo ha saputo re-inventarsi, ibridizzarsi e trovare modalità di inchiesta dirette con cui monitorare anche i nuovi poteri tecnologici.

Se si immagina il giornalismo come un campo sociale, rifacendosi così al vocabolario della sociologia di Pierre Bourdieu, si può affermare come il giornalismo abbia accolto entro i suoi confini numerosi elementi esterni che hanno contribuito a plasmare quello che il giornalismo è in questa fase storica.

“Dentro” il campo giornalistico rientrano oggi cose come la statistica, la data visualization e la programmazione informatica, elementi fondativi del data journalism, il giornalismo che utilizza ampi dataset digitali come base delle sue inchieste.

Oltre a questi, hanno attraversato i confini del giornalismo elementi comuni al mondo hacker: tra questi, l’uso di strumenti di crittografia forte e di sicurezza informatica per la comunicazione con le fonti in contesti di reale confidenzialità e anonimato, strategie fondamentali per la protezione del lavoro giornalistico in un contesto di sorveglianza digitale pervasiva, come quello in cui viviamo. Dal caso Snowden in avanti, che rivelò i dettagli della sorveglianza di massa in Occidente, è infatti cresciuta in modo netto la consapevolezza di come la rete possa essere un territorio pericoloso per i giornalisti e le loro fonti.

Questi elementi principalmente tecnologici sono tutti al centro, ad esempio, delle indagini cross-border, le inchieste internazionali svolte da team di giornalisti sparsi in tutto il mondo e spesso incentrate sull’analisi di grandi dataset digitali ottenuti tramite un leak, una fuga di notizie. Esempio emblematico del settore sono i “Panama Papers”, che hanno interessato oltre 11 milioni di documenti forniti da una fonte tutt’ora anonima entrata in contatto con il team investigativo della tedesca Süddeutsche Zeitung. I giornalisti di Monaco, poi, condivisero quei materiali con l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), affinché l’oceano di dati a disposizione venisse vagliato e analizzato da più di un centinaio di giornalisti e giornaliste sparsi per il globo.

La spina dorsale dell’inchiesta fu l’infrastruttura cifrata di gestione e di condivisione dei documenti all’interno del team: i materiali forniti dalla fonte attestavano migliaia di casi di evasione fiscale gravitanti attorno a uno studio legale di Panama e grazie alle inchieste le autorità fiscali hanno potuto recuperare oltre 1,3 miliardi di dollari di economia sommersa. Grazie a un lavoro certosino di collaborazione reso possibile da digitale, il team dell’ICIJ ha potuto far emergere quante più sfumature nazionali possibili dal caso, letteralmente “estraendo” dai dati disponibili le storie di maggior interesse per i propri pubblici di riferimento.

Se le economie offshore e l’evasione fiscale non sono fenomeni propri della digitalizzazione, altri ne rappresentano forse alcune delle conseguenze più negative. In tempi recenti, si sono quindi moltiplicate le esperienze di giornalismo di inchiesta incentrate proprio sull’indagine delle storture della società dei dati. Si tratta di giornalismo che si concentra su temi tecnologici, al fine però di fornire trasparenza e visibilità a fenomeni che altrimenti resterebbero oscuri. Il potere degli algoritmi, ad esempio, è un tema di indagine sempre più frequente: la newyorkese ProPublica prima e la neonata The Markup poi, testata fondata dalla giornalista Julia Angwin, sono forse gli esempi più avanzati in questo senso.

Le due testate hanno in varie occasioni indagato il funzionamento degli algoritmi di diverse piattaforme tecnologiche commerciali o meno, al fine di farne emergere, ad esempio, i vari bias umani – i pregiudizi – replicati in sede di programmazione nei software.

Con “Machine Bias”, forse l’inchiesta di riferimento per questo ambito, ad esempio, ProPublica indagò il funzionamento di un software in uso presso i tribunali statunitensi per prevedere la reiterazione dei crimini, scoprendo come questo fosse stato realizzato replicando pregiudizi razziali duri a morire che vedono negli afroamericani una maggiore propensione a delinquere.

Più di recente, invece, The Markup ha realizzato “The Citizen Browser”, un browser messo a disposizione dei suoi lettori e capace di raccogliere informazioni sul funzionamento degli algoritmi dei social media. Obiettivo del progetto? Sottoporre ad audit i ben poco trasparenti meccanismi automatizzati che regolamentano la circolazione dell’informazione sulle grandi piattaforme, al fine di aprire questa “scatola nera” tecnologica proprietaria e molto impattante sulla sfera pubblica contemporanea.

Sviluppare software, in sostanza, è oggi un’attività accettata a tutti gli effetti nel campo giornalistico come parte di quello che oggi è il giornalismo. Nonostante il peso specifico crescente dell’innovazione digitale e lo sviluppo di tecniche e pratiche nuove e ibride nella loro essenza, il giornalismo di inchiesta contemporaneo deve ancora fronteggiare problemi e pericoli antichi.

Anche l’Europa non è purtroppo un territorio sicuro per chi fa inchieste, come ci ricordano gli efferati omicidi di Daphne Caruana Galizia a Malta e di Ján Kuciak in Slovacchia, giornalisti uccisi nel 2017 e nel 2018 rispettivamente. Anche in Italia, le recenti rivelazioni sui giornalisti intercettati nel contesto delle indagini sull’immigrazione clandestina e le ONG di soccorso in mare hanno sollevato preoccupazione e sdegno per la violazione del principio giornalistico fondamentale della protezione delle fonti.

 


Venerdì 11 giugno ore 18:00
Conversazioni
Philip Di Salvo, Anya Schiffrin
Datafication e poteri digitali. Il giornalismo d’inchiesta nella nuova età oscura

E’ possibile seguire gli appuntamenti di AGO in diretta sulla pagina Facebook AGO Modena Fabbriche Culturali (@AGOModenaFaCultura) e sul sito www.agomodena.it

Agli impatti sociali, politici e antropologici dell’epoca onlife Ago Modena Fabbriche Culturali dedica la sua stagione di attività estive, in programma dal 4 al 13 giugno – il calendario completo è disponibile su www.agomodena.it/it/programma/ – con 11 appuntamenti tra esperienze, performance e l’intervento di grandi nomi ed esperti dei diversi settori: attraverso conversazioni, esperienze, performance e laboratori si mostrano in modo ravvicinato le potenzialità di dialogo tra l’innovazione tecnologica e quella culturale