Il lamento di Arianna abbandonata che, sola sulla riva del mare, vede allontanarsi la nave dell’amato Teseo, gli ardenti rimproveri per l’immemore ingratitudine dell’eroe, consacrati dai versi di Catullo e di Ovidio, sono divenuti un archetipo della sofferenza d’amore, della solitudine estrema dell’amore tradito. Ma c’è un’altra Arianna, trionfante e festosa, che al fianco di Dioniso percorre tutta la tradizione poetica e iconografica. Due aspetti diversi per una delle figure del mito più celebri e amate e, al tempo stesso, più contraddittorie e sfuggenti. I molti fili di cui si compone la trama di questo mito, primo fra tutti il celebre filo che guida l’eroe ateniese al di fuori dal labirinto di Creta, sono ripercorsi da Silvia Romani, docente di Mitologia classica all’università di Torino, in un saggio, pubblicato da Einaudi, nella collana diretta da Maurizio Bettini (Il mito di Arianna, pp. 278,euro 30,00). La vita di Arianna, dice l’autrice, tende fin dall’inizio a «costruirsi per paradigmi contrastivi: la dea e la fanciulla indifesa, la figlia di Minosse e la compagna di Teseo, la principessa abbandonata e la sposa del dio Dioniso». Diverse le vicende, molteplici le sue morti, da una morte silenziosa di parto, al suicidio, fino alla consacrazione della sua Corona, o di lei stessa, in una costellazione celeste. Plutarco racconta che nell’isola di Nasso esistevano due riti diversi per due diverse Arianne, il più antico, gioioso e solare, per la giovane sposa del dio Dioniso, il più recente, triste e luttuoso, per la donna abbandonata da Teseo. La tradizione letteraria più moderna, soprattutto latina, sembra prediligere la vicenda amorosa: abbandonata da Teseo o salvata da Bacco, lo spazio di Arianna è l’isola, la prigione circondata dal mare, in cui la donna legata dalla memoria dell’amore perduto, vede allontanarsi un Teseo del tutto immemore, dimentico non soltanto di lei ma anche della promessa fatta al padre di cui causerà inconsapevolmente la morte. Nelle fonti più antiche, la figura di Arianna, per certi aspetti più umbratile e sfuggente, appare invece più radicata nel contesto cretese. È la figlia di Minosse, la sorella del mostruoso Minotauro, che con l’aiuto di Dedalo, il prodigioso architetto, e con il dono del gomitolo, aiuterà l’eroe ateniese nella realizzazione della sua impresa. La ricerca e la ricostruzione delle testimonianze su questa fase del mito sono forse la parte più interessante del lavoro di Silvia Romani. L’Arianna più antica ritorna alla luce con la scoperta archeologica di Creta. Con gli scavi dell’inglese Arthur Evans, esplode la moda dell’arte minoica e anche la giovane principessa cretese può godere di un rinnovato interesse per tutto il suo mondo, grazie anche alla complicità di due falsari svizzeri, i Guilleron, che riempiono il mercato antiquario di sedicenti manufatti cretesi. Ma è con la decifrazione del Lineare B, per merito di Michael Ventris, che appare la prima vera e propria traccia storica di Arianna se, come suggerisce l’autrice, in lei possiamo identificare la «signora del labirinto», quella potnia dapuritoio a cui, in una tavoletta cretese, vengono decretate ricchissime offerte. Nel XVIII libro dell’Iliade, dove il poeta descrive lo scudo di Achille, costruito per lui dal dio Efesto, tra le altre immagini è presente una danza, «simile a quella che un tempo nella vasta Cnosso Dedalo aveva inventato per Arianna dalla bella chioma. Qui giovani e fanciulle che valevano molti buoi danzavano, tenendosi i polsi con le mani». I commentatori omerici spiegano che questa danza riproduceva lo schema del labirinto, come la cosiddetta danza rituale della gru, celebrata, in memoria dell’impresa cretese di Teseo, nell’isola di Delo, e come quella rappresentata su un fregio del vaso François, in cui la donna appare in piedi davanti all’eroe, mostrando un gomitolo, mentre una schiera di giovani danza tenendosi per mano.
Il lavoro della Romani, con dovizia di fonti e ricchezza di riferimenti bibliografici, ripercorre, dunque, il mito di Arianna dalle fonti più antiche fino alle rielaborazioni artistiche e letterarie più moderne, che dimostrano come questa vicenda mitica sia tra le più vive e produttive della nostra tradizione culturale.