Le fortune di Dante in America si legano a un negozio di alimentari. Evidentemente questo è il destino del nostro maggior poeta se già il trinariciuto umanista Niccolò Niccoli osava affermare che la Commedia era «libro da dare a li pizzicagnoli per porvi dentro il pesce salato». Fuggito repentinamente dall’Europa, allo schiudersi dell’Ottocento l’irrequieto librettista Lorenzo Da Ponte approdava, dopo qualche peripezia, a «Nuova Jorca». Presto si portò nel vicino New Jersey per aprirvi una drogheria, ma gli affari non andavano bene e Da Ponte pensò bene di rientrare nella metropoli per cercare una nuova occupazione. In una libreria della città ebbe la fortuna di incontrare e farsi amico Clement Moore, figlio del più celebre Benjamin, vescovo ma soprattutto presidente della Columbia University. Il 15 dicembre 1806 Da Ponte iniziava la propria attività di libero docente di italiano ma fu solo vent’anni dopo che la Columbia gli offrì ufficialmente una «teaching position» a patto che l’attività – così recita la severa prosa del documento di incarico –non comportasse alcun emolumento da parte dell’istituzione. Da Ponte doveva mantenersi con le mance degli studenti.

La «Casa italiana» ha 90 anni
È questo uno dei tanti documenti che l’Italian Academy for Advanced Studies della Columbia University ha messo in mostra in occasione del 90° anniversario di fondazione della Casa Italiana di New York. Il volume celebrativo, curato da Barbara Faedda (From Da Ponte to the Casa Italiana, New York, Columbia University Press, 2017), ripercorre scrupolosamente i primi e incerti passi della nostra italianistica oltreoceano. Nel 1830 Da Ponte aprirà a New York una propria libreria con cui provvederà gli studenti dei manuali necessari all’apprendimento dell’italiano. Si conservano ancora le ricevute di pagamento delle lezioni e dei volumi, tra i quali figurano la Grammatica inglese ad uso degl’italiani di Vergani o l’oggi introvabile The Italian language taught in ten lessons di Fiorilli. Alla sua morte Da Ponte lasciò i propri cimeli (il ritratto, la vestaglia) e soprattutto i propri libri alla Columbia dove ancora si conservano non di rado corredati, nei margini, dalle sue annotazioni manoscritte. Molti anni più tardi, esuli, immigrati e studenti italiani a New York diedero vita al cosiddetto Circolo Italiano e il 12 ottobre 1927, data non casuale, inaugurarono la sede della nuova Casa Italiana proprio di fronte all’attuale Campus universitario della Columbia. Per la realizzazione fu determinate il ruolo dei fratelli Paterno, uomini d’affari e impresari immigrati dalla Lucania a fine Ottocento. Una munifica donazione di Charles Paterno avviò l’acquisizione di quella che costituisce oggi una delle più cospicue collezioni di italianistica di tutti gli Stati Uniti, gelosamente conservata presso la Butler Library della Columbia.
In piena epoca fascista la direzione della Casa Italiana fu affidata a Giuseppe Prezzolini, abile a mantenere un buon rapporto con l’istituzione universitaria nonostante la fedeltà al regime. Questo fino alla dichiarazione di guerra del ’41 allorché Prezzolini rassegnò le dimissioni pur continuando a insegnare italiano alla Columbia. Nel Dopoguerra la Casa diverrà sede del Department of Italian Studies e saprà liberarsi dal proprio ambiguo passato: l’edificio ospiterà lo studio del grande filologo Paul Oskar Kristeller, espatriato dall’Italia all’indomani delle leggi razziali grazie all’aiuto di Giovanni Gentile. Nel 1990, trasferito il Department nel Campus universitario, la Casa è divenuta sede dell’Italian Academy for Advanced Studies. Guidata con mano sapiente e spirito ecumenico dallo storico dell’arte David Friedberg, l’Academy promuove e sostiene iniziative di ricerca in vari ambiti di studio, ma sempre con un occhio di riguardo per la lingua e la letteratura italiana.
Se gli studi danteschi in America molto devono al libertino Da Ponte, non sono meno debitori verso il puritanesimo del Massachusetts. Giunti a Boston, i padri pellegrini portarono con loro un profondo interesse per teologia e spiritualità manifestando, negli stessi anni di Da Ponte, una naturale curiosità verso la Commedia. Dopo i primi contributi divulgativi apparsi su rivista, il testimone passò a un agguerrito manipolo di professori gravitanti attorno alla celeberrima Harvard University. All’indomani della traduzione inglese della Vita nuova da parte del sanguigno filosofo Ralph Waldo Emerson, i dantisti di Harvard – Longfellow, Norton, Lowell – fondarono la Dante Society of America (1881) che divenne subito ed è rimasta fino a oggi il centro propulsore degli studi danteschi in tutti gli Stati Uniti. Norton e compagni avviarono la costituzione di una pregevole collezione dantesca e promossero studi pionieristici, concentrandosi soprattutto sulla traduzione inglese dell’opera del poeta e sulla preparazione delle relative concordanze. Ai primi del Novecento l’eredità dei padri fu raccolta e coltivata da una nuova generazione di filologi harvardiani: il classicista Rand, l’allora giovane italianista Wilkins, il medievista Grandgent, primo americano a essere ammesso alla Società Dantesca Italiana. Quella tradizione di studi è oggi gelosamente conservata negli archivi di Harvard che ospitano materiali preparatori, appunti di studio, bozze di lavoro, volumi postillati: testimonianze di prima mano, e preziosissime, di come si studiasse e si insegnasse Dante a quell’epoca in America.
Un recente e prolungato soggiorno negli Stati Uniti mi ha permesso di verificare più da vicino l’attuale stato di salute degli studi di italianistica e in particolare di quelli danteschi. In generale è ben percepibile una graduale contrazione d’interesse non solo nei riguardi dell’italiano ma anche verso le lingue europee nel loro complesso, naturale portato di una maggiore apertura verso altri continenti per evidenti ragioni di carattere storico ed economico. Il numero dei dipartimenti di Italian Studies, un tempo capillarmente diffusi, si è sensibilmente ridotto confluendo talvolta in organismi più articolati ma perdendo di fatto autonomia. All’interno di questo quadro però gli studi danteschi sembrano manifestare una discreta tenuta. Un collega della Rutgers University mi spiegava che un’offerta didattica – come si dice – basata su Boccaccio o Petrarca è oggi destinata ad andare semideserta, mentre un corso su Dante riscuote ancora notevole interesse. Va ricordato che gli insegnamenti sono spesso rivolti a studenti provenienti da corsi di studio e da esperienze di formazione le più disparate e vanno dunque offerti con un taglio compatibile con questo retroterra. Ciò richiede di sperimentare modalità didattiche nuove, privilegiando un approccio col testo per noi meno tradizionale e forse più vicino alle aspettative di lettori del tutto digiuni di cultura italiana (ne ha parlato il 31 agosto a Verona Simone Marchesi della Princeton University nell’ambito della XII edizione della International Summer School di Studi Danteschi).

Tutti i commenti in Rete
Su queste basi la dantistica americana ha dato e dà tuttora vita a progetti che ne testimoniano una non sopita vivacità. Senza rievocare il noto Dartmouth Dante Project (dal Dartmouth College del New Hampshire, una delle più antiche università statunitensi, che tra 1982 e 1988 provvide alla indicizzazione e messa in rete gratuita di tutti i commenti danteschi alla Commedia), la Dante Society of America – in accordo con la sorella italiana – ha recentemente aperto il portale Bibliografia Dantesca Internazionale che consente di accedere all’immenso database bibliografico degli altrimenti indomabili studi danteschi. Alla Columbia University Teodolinda Barolini anima il progetto Digital Dante, un vivace sito web dedicato allo studio e al commento dell’opera dantesca, che ne ospita il testo originale e in traduzione, offre strumenti di ricerca intertestuale e si apre a brevi contributi di studiosi e giovani ricercatori. A partire dal 1995, grazie a una cospicua donazione privata, la University of Notre Dame (Indiana) ha istituito il Devers Program in Dante Studies che prevede il finanziamento di borse di studio, convegni, conferenze, pubblicazioni, nonché l’arricchimento della formidabile collezione dantesca avviata nell’ottocento dal sacerdote John A. Zahm. È di poche settimane fa la nascita di Bibliotheca Dantesca, una nuova rivista che fa capo alla School of Arts and Sciences della University of Pennsylvania, aperta a tutte le tendenze nell’ambito degli studi danteschi. Una possibile soluzione alla rinascita dell’italianistica americana potrebbe passare proprio da qui: privilegiare un numero limitato di iniziative che uniscano una buona qualità a una grande facilità di diffusione.