Un anno di laboratori o meglio incontri-concerti in giro per locali e università, circa ottanta brani raccontanti nel loro contesto socioeconomico, sono stati la materia da cui Daniele Sepe ha tratto il suo ultimo cd A note spiegate (MVM, distribuzione Goodfellas). Per produrlo ha lanciato una sottoscrizione in internet: un solo giorno di crowdfunding e aveva già la cifra sufficiente, a dimostrazione che l’industria impone prodotti ma non sa cosa vuole il pubblico. «Ho dovuto sottopormi a un intervento alla mano – racconta il sassofonista partenopeo – e non sapevo se sarei stato in grado di suonare ancora. Così ho deciso, prima di farlo, di entrare in sala di incisione e registrare un lavoro dedicato al sax. Ho scelto i brani a cui sono più legato. Accanto ci sono i racconti dei protagonisti”.

Durante le serate A note spiegate il pubblico impara a riconoscere gli elementi base della musica e delle canzoni, ma scopre anche le storie dietro le note: «Raccontiamo il jazz per quello che è: suono legato all’emotività dell’animo umano, una musica popolare nata nei bordelli, il linguaggio del proletariato e sottoproletariato urbano Usa, di cui si sono poi impossessati i bianchi tirando fuori più soldi per loro che per chi la faceva. Molti oggi invece la considerano materia esoterica, per pochi eletti. Io scrosto la patina radical chic che piace tanto ai critici».

In studio con Daniele Sepe, Pietro Santagelo, Alessandro Tedesco, Pietro Festa, Franco Giacoia, Tommy De Paola, Davide Costagliola, Robertinho Bastos e Paolo Forlini, il viaggio comincia con Fables of Faubus di Charles Mingus e termina con ‘Round midnight, l’unico brano che ha un vocalist: Sepe ha chiesto a Paolo «Shaone» Romano di scrivere un testo in napoletano sulle armonie notturne di Thelonius Monk. Nel mezzo Charlie Mingus, Sonny Rollins, Bill Evans, Joe Zawinul, Wayne Shorter, Miles Davis, Gato Barbieri, Frank Zappa e poi Led Zeppelin, Jimi Hendrix e Bob Marley.

«Criminali spesso, di sicuro gente da bassifondi, ladri, magnaccia, truffatori, a volte ex assassini – racconta Sepe -. Una musica nata nel peggior quartiere di New Orleans, Storyville, l’unico in cui bianchi e neri avessero contatti, il quartiere delle bische e dei lupanari. Storie di gente che a volte è morta poverissima, pur avendo creato una musica magnifica che suoniamo ancora oggi». Monk componeva in un monolocale, condividendo il poco spazio con moglie e figli: «Il piano proprio accanto al frigorifero, mentre i figli guardavano i cartoons e dalla finestra arrivavano i rumori della strada. Tutti quei suoni dissonanti sono finiti nella sua musica. Mingus per vivere faceva anche il pappone, mestiere molto in voga nelle grandi orchestre».

Ci sono le storie dietro le canzoni: «Nel 1957 – racconta ancora – il governatore dell’Arkansas, Orval Faubus, spedisce la guardia nazionale a impedire l’ingresso di nove ragazzi afroamericani nella scuola superiore locale. Ci volle l’intervento dell’esercito per garantire un diritto elementare come l’istruzione. Mingus scrisse subito un pezzo ma nel ‘59, quando lo inserì nel suo album Mingus Ah Um, la Cbs gli vietò di usare il testo così ne registrò una versione strumentale. Però poi ruppe il contratto con la Cbs e registrò la versione originale con l’etichetta indipendente Candid». E i personaggi oltre la stessa musica: «Zappa – conclude Sepe – si auto candidò a presidente degli Stati uniti. Preferirono Nixon. L’umanità è masochista».