La più grande foresta sudamericana dopo l’Amazzonia – una delle più estese al mondo – si trova nel Chaco paraguayano, la regione che dà il titolo al documentario di Daniele Incalcaterra e Fausta Quattrini vincitore dell’ultima edizione del Festival dei Popoli (e che verrà proiettato a Milano il 24 novembre in chiusura di Filmmaker Festival): Chaco.
In quella regione Incalcaterra possiede 5000 ettari di terra lasciati in eredità dal padre: nel suo precedente documentario, El impenetrable, raccontava l’avventura per prenderne possesso e trasformarli in una riserva naturale – Arcadia – resa possibile da un decreto del presidente Fernando Lugo.

Un «happy ending» ribaltato nelle prime scene di Chaco: «Con la caduta del governo Lugo, qualche mese dopo il decreto con cui aveva istituito la riserva, i grandi proprietari hanno ricominciato ad assediare Arcadia, e a quel punto ho deciso di cominciare un nuovo film», spiega Incalcaterra. La terra, che il regista vorrebbe riuscire a riconsegnare ai popoli originari – i guaranì ñandeva – è dunque di nuovo a rischio: «Arcadia si è scontrata con il punto focale della mafia della proprietà terriera in Paraguay», dice Lugo al regista.
Gli interessi economici contro cui battersi sono fortissimi (la deforestazione consente di creare allevamenti e coltivazioni di soia), la burocrazia asfissia ogni tipo di soluzione e Incalcaterra viene lasciato progressivamente sempre più solo nella sua lotta.

Qual è il rapporto tra «Chaco» ed «El impenetrable»?
El impenetrable era una sorta di western, un film di scoperta: la storia di un forestiero che sbarca in un Paese sconosciuto per cercare di risolvere un problema che ha ereditato insieme ai 5000 ettari di foresta : come restituirli ai guaranì? Ora invece non sono più lo straniero: tutti mi conoscono già, sia a livello governativo che locale. Chaco è più un thriller su una persona che si confronta con una serie di ostacoli, tra i quali una solitudine sempre più grande e l’onnipresenza dello Stato, con cui però è difficile dialogare.

Il confronto più sofferto è però quello con gli stessi guaranì che le voltano le spalle perché pretendono che la terra venga intestata a loro.
Capisco perfettamente la richiesta di proprietà della terra: fa parte della loro lotta. Ma su quelle comunità sono state fatte delle pressioni. Mi hanno accusato di volerli manipolare, ma io conosco la situazione del Paraguay e temo che allo stato attuale l’ingresso in quella terra potrebbe mettere a rischio le loro vite. C’è chi ritiene che la morte di qualcuno di loro sia «strategica», io propendo invece per una soluzione pacifica.

Nel film lei teme infatti che possa verificarsi qualcosa come il massacro di Curuguaty (durante il quale nel 2012 sono stati uccisi dalla polizia 11 campesinos, ndr).
In quel caso l’obiettivo non era solamente l’espulsione di 56 famiglie di campesinos dalla loro terra, si trattava soprattutto di un pretesto per far saltare il governo Lugo con l’accusa di incompetenza, proprio per non aver saputo gestire la situazione. È stato poi scoperto che i sei morti dalla parte della polizia sono stati uccisi da armi più sofisticate di quelle dei contadini: era una trappola, i grandi proprietari hanno pagato dei killer, e solo di recente sono stati liberati gli 11 contadini accusati di aver ucciso quei poliziotti. Ci si voleva sbarazzare del governo Lugo perché aveva cominciato una serie di riforme: scuola, salute e educazione per tutti – e iniziava ad attaccare anche la proprietà terriera, il grande tabù del Paese.

«Chaco» affronta l’emergenza ambientale, la deforestazione, i rischi per l’ecosistema. Le recenti elezioni in Brasile rinforzano queste preoccupazioni: Bolsonaro ha annunciato che lascerà mano libera ai grandi latifondisti nella deforestazione dell’Amazzonia per la produzione di soia e gli allevamenti.
Il Paraguay è diventato il quarto produttore di soia al mondo, il Brasile è il secondo. Si producono alimenti che danneggiano il suolo – dopo pochi anni i terreni dove si produce soia transgenica diventano infertili – e lo stesso vale per l’allevamento: per produrre un kg di carne servono circa 9 litri d’acqua, che significa toglierla agli esseri umani per produrre un alimento che non è affatto conveniente. Bolsonaro quindi sbaglia, ma non bisogna dimenticare che lui è stato votato proprio dai grandi proprietari terrieri: quello brasiliano è stato un voto di protesta ma dietro ci sono sempre i soliti noti, coloro che mantengono lo status quo nel Paese. E l’elezione di Bolsonaro crea un grande problema non solo in Brasile, che è il Paese più importante del Sudamerica per cui vedremo un violento cambiamento geopolitico in tutta la zona.