Che cosa sappiamo delle persone anziane, del loro universo emotivo, delle loro ansie? Attorno a questa domanda si muove Il tempo rimasto, nuovo documentario di Daniele Gaglianone, che sarà proiettato al Tff nella sezione «L’incanto del reale». Il film è ancora una volta, come Dove bisogna stare, un viaggio in Italia da Sud a Nord sul filo degli incontri. Le persone intervistate sono diverse per grado d’istruzione, censo, mestiere svolto ma sono accomunate dal fatto di aver attraversato un lungo tratto di Novecento tra lavoro, affetti, guerra, deportazione, migrazioni, impegno politico, aspirazioni realizzate o frustrate. Persone comuni ma anche alcune figure più note come Paola Mazzetti, gemella della regista Lorenza, o Sante Bajardi, una vita nel Pci e nelle fabbriche.

Inizialmente, il film mostra singole persone che rievocano il passato nel proprio ambiente domestico o nei luoghi che abitarono nell’infanzia e che oggi sono in rovina. Cimiteri abbandonati, abitazioni dirupate: gli spazi sono densi di fantasmi a noi invisibili ma ben presenti attraverso le emozioni di chi testimonia. C’è però anche chi ormai la memoria l’ha persa e così anche la parola e torna alla mente Vivere (2016) di Judith Abitbol, struggente omaggio a chi pian piano se ne va passando per quella «notte» della mente che è l’Alzheimer, così ribattezzato dalla madre malata di Annie Ernaux nel libro Non sono più uscita dalla mia notte.

Ogni tanto le interviste sono a coppie, altre volte le persone si rivelano accompagnate da un famigliare che aiuta o incoraggia e che non intendeva rivelarsi ma che irrompe in campo per una parola di incoraggiamento, per una carezza di sostegno quando l’emozione è troppa. Ci sono racconti che rimangono incompleti, sospesi per il dolore che suscita rievocarli.

Gaglianone non ha mai lasciato che il «dovere di verità» o di completezza narrativa prevalesse sul dolore di chi racconta o di chi filma: ne era già un esempio la sospensione, l’avvento del silenzio o lo sfumare dell’audio che sopravvenivano in Rada Nece Biti (2008) durante l’intervista all’antropologa forense al cospetto di poveri resti umani. In diversi momenti de Il tempo rimasto, la messa in scena rivela il suo farsi e il documentario i suoi limiti e i suoi bordi, come quando Maria, l’insegnante di pianoforte, implacabile nonostante l’età avanzata, non risparmia una rampogna all’allievo impreparato al che il regista interviene fuori campo: «Maria, questa non è una lezione vera è solo un modo per mostrare che alla tua età insegni ancora, non ti arrabbiare».

C’è chi ricorda il primo taglio di capelli e chi le manifestazioni del Primo Maggio, chi canta Rose rosse e chi Bandiera Rossa, chi mostra le foto di famiglia e chi i campi dove pascolava le greggi. Ne risulta il ritratto del nostro Paese tra misoginia, sessuofobia, classismo, mancato accesso all’istruzione per le classi subalterne, ma anche conquiste personali e collettive che hanno permesso una vita migliore e maggiori diritti a chi è venuto dopo.