Daniele Di Maglie, cantautore-poeta e scrittore. Nel 2001 incide il disco Non so più che cosa scrivo poi ristampato dall’etichetta Storie di Note. Il suo secondo disco intitolato Il mio garage edito dall’etichetta Digressione music esce nel 2014 e negli anni precedenti pubblica il romanzo La ballata dei raminghi adirati, il racconto L’altoforno, mette in scena la suite teatrale insieme ad Angelo Ruggiero La gente pensa che i clown e il progetto di cineterapia Il Dottor Uova. Una storia d’altri tempi.

Nel progetto “Il mio garage” racconti storie socialmente scomode…

E’ la vita quotidiana, solitamente, ad essere socialmente scomoda. Chi come me avverte il bisogno di trasfigurare la propria esperienza e di raccontarsi, viene quasi sempre da un rapporto conflittuale con la vita.

L’arrangiamento musicale del brano “Le costole africane” presuppone l’esistenza di un senso critico in chi ti ascolta…

Se io dovessi giudicare la capacità critica delle persone attraverso il filtro del “supermercato mediatico” ti direi no. Per fortuna, però, apprendo che esiste un mondo oltre il social network, oltre la televisione. Ogni volta che scrivo una canzone mi riferisco sempre a qualcuno e sono contento se c’è un pubblico che recepisce il mio messaggio e, spesso, ne aggiunge di nuovi.

Nella ballad “Io resto così”, e nel brano “Il mio garage” ti avvali della collaborazione del sassofonista Guy Portoghese, purtroppo scomparso…

Più che collaborazione era un’amicizia, tra di noi c’era grandissima stima e intesa. Ancora oggi mi pare incredibile che non ci sia più… per me, era una figura molto presente.

In questo disco sembra rilevante la presenza dei fiati. Una scelta forse voluta…

Questo progetto ha una timbrica sonora diversa dal precedente, un po’ più scura; gli interventi flautistici di Gianni, così come l’organetto di Pipino, servono ad aprire spiragli di luce.

Il brano “L’uomo assente” nasce dal tuo incontro con Caparezza. Una canzone che sembra aprirsi a nuove sonorità…

Un paio di anni fa mi venne in mente di contattare Michele Salvemini (Caparezza), attraverso amici in comune. Poi venni a sapere che aveva assistito ad alcuni miei concerti, per cui fu da subito disponibile. In una sola notte, così mi disse, arrangiò il brano. Da allora abbiamo instaurato un bellissimo rapporto.

Pensando agli “stridori”, anche il romanzo “La ballata dei raminghi adirati” ne è pieno…

Ho cercato di adeguare la prosa a ciò che stavo raccontando, utilizzando quello che ho deciso di chiamare “linguaggio inclusivo”. In sostanza realizzo più livelli di narrazione che la frammentano. Questa “confusione linguistica” viene poi giustificata semanticamente da quello che sta avvenendo nel romanzo.