Non è gerontocrazia, come declamava mezzo secolo fa Demetrio Stratos con i suoi gloriosi Area, né di accademica irremovibilità di certi artisti. Neppure il fatto che certe persone, tempie abbondantemente spruzzate di bianco, se i capelli li hanno ancora, non sappiano proprio rassegnarsi a farsi da parte. Certa gente che fa musica, semplicemente, non è interessata al voler essere o sembrare «giovane per sempre». Magari lo augurano agli altri, come fece Bob Dylan quando scrisse le parole «May you stay forever young». Certe persone sono interessate invece a continuare a fare buona musica, e a farla fino a quando avranno idee forti e freschezza di ispirazione. Ad esempio Enrico Rava, ottantadue anni portati con grazia molto «cool» sta per far uscire un disco, un duo splendido con Fred Hersch, e Franco D’Andrea, anni ottantuno, se ne esce in questi giorni con un cd addirittura triplo, rara avis di questi tempi, dal minutaggio decisamente impegnativo, tre ore con il suo pianoforte e, udite udite, la collaborazione faccia a faccia con DJ Rocca, produttore, giramanopole, musicista elettronico con status quasi da leggenda, per le dancehall di tutto il mondo.

NON È LA PRIMA volta che il pianista di Merano tanto pacato e gentile nei modi quanto vulcanico e mercuriale nelle attività, incontra Dj Rocca. La «corrispondenza d’amorosi sensi» musicali era già stata documentata sei anni fa in Electric Tree, dove però c’erano anche i sassofoni di Andrea Ayassot. Adesso a sorpresa questo clamoroso triplo viaggio, Franco D’Andrea Meets DJ Rocca, per Parco della Musica Records, ed è un viaggio in una wunderkammer che merita tempo, attenzione, e anche una buona dose di disponibilità. Per farsi portare in un viaggio rabdomantico da due maestri provenienti da sponde musicali completamente diverse, ma perfettamente compatibili nelle scelte e nella costruzione di una sorta di «estatica estetica» tutta misurabile sul ritmo. Come entrare, verrebbe da dire, nel regno di Alice oltre lo specchio ma in una versione decisamente «afroamericana» per il soundscape, il paesaggi sonoro che si respira. Franco D’Andrea sfodera tutta la sapienza tornita dei suoi fraseggi asimmetrici e scolpiti, un viaggio che spesso cripta e allude al grande «santo nero» dietro la sua musica, Theloniouos Monk, con un’ombra sorridente anche di Cecil Taylor. E il lavoro sugli intervalli, peraltro, è tra quanto di più raffinato si sia ascoltato dal pianista. Dj Rocca asseconda, trae spunto dalle intuizioni di D’Andrea, stende tappeti di fruscii e inventa schiocchi sintetici, crea incastri e lascia sfrigolare la matassa sonora in una sorta di labirinto ritmico che sembra un universo escheriano imprendibile, inafferrabile, eppure continuamente sotto le orecchie. Chapeau, come si dice.