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Sabato scorso, all’età di 79 anni, è morto l’artista americano Dan Graham. Scultore, performer, videomaker, fotografo, appassionato di astrologia, rock music e culture giovanili, ma anche infaticabile sperimentatore di percezioni ambientali che disorientassero il pubblico con un gioco di specchi, Graham era nato il 31 marzo 1942 a Urbana, Illinois. All’inizio, senza avere alle spalle studi formali nel campo artistico (andò via di casa presto, dopo una infanzia travagliata, in fuga da un padre scienziato ma abusante, mentre sua madre era una psicologa dell’educazione), giovanissimo fondò la John Daniels Gallery, a New York, dove espose «amici» come Sol Lewitt, Donald Judd, Robert Smithson. Nel ’65 chiuse l’attività e divenne lui stesso un artista. Graham era noto soprattutto per i suoi «padiglioni», strutture architettoniche in acciaio e vetro che reinventavano i confini fra esterno e interno, pubblico e privato (sono stati realizzati anche inposti remoti, come il Circolo polare artico) e attraverso il riflesso della superficie rendevano ambigua la percezione. Considerava i suoi lavori esempi di «umorismo anarchico», sovversivi perché inglobavano istanze politiche nella parodia. «Non credo di aver mai fatto Minimal art – sosteneva – Certo, sono stato influenzato dalla Pop e dal Minimalismo, ma per me è subito diventato molto importante lo spettatore, il rapporto intersoggettivo. Gli specchi che utilizzo nelle mie installazioni li ha ispirati Sartre con le sue teorie sulla formazione dell’ego durante l’infanzia. Ma tutte le mie idee provengono dalla cultura popolare, che non voglio decostruire ma casomai celebrare».
La rilevanza attribuita da Graham al processo visivo è testimoniata dai film che produsse tra il 1969 e il ’74. Nel ’69 realizzò il suo primo film Sunset to Sunrise: la cinepresa si muoveva in direzione opposta al corso del sole, invertendo la progressione del tempo, virando così in una cronologia soggettiva il proprio stare al mondo. La telecamera era usata come un’estensione del suo corpo, sempre coinvolgendo lo spettatore. Fra gli altri film, Two Correlated Rotations (1969), Roll (1970), Body Press (1970–72), lavoro nato da una doppia registrazione di immagini e poi anche doppia proiezione che insisteva su una sinestesia indotta – occhio, corpo e cinepresa.