Trump l’ha chiarito fin da subito: la sua sconfitta può essere attribuibile solo a frodi elettorali e quindi, in caso di perdita delle elezioni, la decisione finale spetta alla Corte Suprema. Man mano che il quadro si delineava proprio come una sconfitta questo concetto è stato reiterato dal tycoon, su Twitter e in ogni altra occasione disponibile. Non sono mai arrivati cenni da parte dei giudici, come era prevedibile e auspicabile, ma lo spettro di una replica delle elezioni del 2000, moltiplicato per tutti gli Stati in bilico, si è aggirato più volte nelle analisi politiche di questi giorni.

Dan Gerstein è uno scrittore, analista politico e stratega della comunicazione; ha iniziato come autore di discorsi e consigliere per il senatore del Connecticut Joe Lieberman, per poi continuare come suo consulente senior e stratega della comunicazione nelle sue campagne vicepresidenziali e presidenziali. Lieberman era stato la scelta di Al Gore come vicepresidente nella corsa del 2000, proprio quella vinta da Bush dopo una battaglia all’ultimo voto finita davanti la Corte Suprema.

La sfida oppose il candidato repubblicano George W. Bush e il vicepresidente democratico uscente Al Gore. La proclamazione del vincitore, quell’anno, era prevista per la notte tra il 7 e l’8 novembre, ma venne rinviata per molti giorni, poiché in Florida, che era lo Stato determinante, fu necessario ricontare i voti. George W. Bush alla fine in Florida ottenne la maggioranza con un distacco di appena 537 voti.

Che paragoni si possono fare con il 2000?
Sono situazioni diverse come il giorno e la notte. Nel 2000 c’erano due candidati decenti, razionali e tradizionali che correvano per un seggio aperto in un periodo di relativa pace e prosperità. La corsa si era ridotta a un unico Stato, e c’era una buona ragione per entrambe le parti per mettere in dubbio il risultato, dato quanto era minimo lo scarto e tutte le anomalie con le schede elettorali (il folle design a farfalla nella contea di Palm Beach e le schede cartacee con vidimazioni appesi ovunque). Inoltre c’erano stari seri problemi legali da risolvere Quest’anno c’è un incumbent estremista, fondamentalmente disonesto che ha destabilizzato la nostra democrazia e ha seminato dubbi nel nostro processo elettorale, contro uno sfidante dignitoso e rispettato in tutto lo spettro politico.

Nelle elezioni lo sfidante ha ottenuto più voti di qualsiasi candidato nella storia americana, mentre c’è stato un ripudio di massa del titolare, attraverso un processo che è stato totalmente legittimo, con zero prove di frode o errore. Il margine di Biden sarà di almeno 20.000 voti, che è vicino a 400 volte il margine di Bush in Florda. Quindi non c’è assolutamente alcun motivo per mettere in dubbio la legittimità della vittoria di Biden.

Che succede adesso?
Le prossime settimane saranno un vero test per come i repubblicani risponderanno a una presidenza Biden, se rimarranno nelle mani di Trump e combatteranno Biden dal primo giorno, o se inizieranno a tornare al centro sano. Molti repubblicani dell’establishment che hanno sempre disprezzato Trump, ma hanno accettato tagli fiscali e giudici favorevoli, dovranno decidere qual è per loro l’aspetto negativo più grande: sembrare intransigenti ed estremisti, o rischiare l’ira dei pazzi del MAGA.

Qual è il pericolo per Trump?
È stato completamente umiliato ed esposto come perdente, il che, dato il suo estremo narcisismo, è la punizione più grande che possa mai ricevere. Ma oltre a questo, ora deve affrontare un procedimento penale a New York, nello Stato di New York e uno a livello federale. Quindi una delle sfide più immediate che Biden dovrà affrontare è se approvare le cause penali contro Trump o chiedere la clemenza, come modo per aiutare a guarire il Paese.