È un progetto che nasce molto tempo fa La La Land, ai tempi in cui il giovanissimo regista Damien Chazelle, classe 1985, si trovava al Sundance per presentare Whiplash, e anzi prima ancora se – come racconta lui stesso – «all’epoca avevo già pronta parte della sceneggiatura e delle musiche». Un progetto che è quasi una chimera – un dream project come lo chiama Chazelle – perché il musical è una creatura degli anni d’oro di Hollywood da tempo abbandonata e da più parti dichiarata morta, insieme forse all’ «innocenza» su cui il genere è fondato. E infatti la co-protagonista Emma Stone contrappone «il cinismo che oggi imperversa soprattutto tra i giovani» alla determinazione del suo personaggio e di quello interpretato da Ryan Gosling: «due ragazzi pieni di speranze, che lavorano duramente per raggiungere il loro sogno». Dopo il successo di Whiplash, il sogno di Damien Chazelle può diventare realtà e La La Land – nelle sale italiane dal 26 gennaio distribuito da 01 – vede finalmente la luce. A lavorarci a strettissimo contatto col regista è proprio l’autore delle musiche Justin Hurwitz, a cui forse il personaggio di Gosling rende in parte omaggio, dato che come racconta il regista quando si sono conosciuti «in casa sua c’era solo un pianoforte e un poster di Singing in the Rain».

Perché un film sul musical e come è riuscito a realizzarne uno «contemporaneo»?

C’è un motivo se i vecchi musical sono dei film immortali, ed è proprio la loro semplicità e onestà. Per cui alla domanda che ci siamo posti tutti all’inizio del lavoro, e cioè come si possa giustificare oggi un numero musicale all’interno di un film, la risposta è ironicamente proprio tornare a quelle tradizioni. I film sono come la terra del sogno, il luogo delle emozioni, e alle emozioni è concesso violare le regole della realtà. Un musical, inoltre, può andare fino in fondo, forzare dei confini che negli altri generi non è consentito varcare.

Una delle protagoniste del film è la città, Los Angeles

Vivo a Los Angeles da nove anni, e ricordo bene che appena arrivato, quando ancora non conoscevo nessuno, il sentimento principale che provavo era un senso di solitudine: non è una città accogliente. Volevo portarla sullo schermo in modo che tutti avessero la sensazione di «incontrarla» per la prima volta, anche chi ci abita da tanto tempo. Per questo ho sottolineato i suoi aspetti negativi come quelli positivi: le feste orribili, il culto della celebrità, la superficialità, il traffico, ma anche la caratteristica bellissima e poetica di essere una metropoli fondata sui sogni irreali delle persone. Nel bene e nel male non sembra un posto «vero» e per questo nel film ha una qualità onirica, ottenuta girando quasi sempre al tramonto.

La La Land omaggia e riprende i vecchi musical ma non ne ha l’ottimismo, il finale è amaro…

Più che amaro lo definirei malinconico, come in certi musical francesi che combinavano la gioia e la malinconia. Ma in fondo anche i balli di Ginger Rogers e Fred Astaire avevano una venatura «tragica», dato che poi si sarebbe dovuti tornare alla realtà. Il mio è un tentativo di ancorare i vecchi musical hollywoodiani alla realtà contemporanea, e nel mondo reale le cose non vanno sempre come si vorrebbe. Inoltre trovo molto più romantici i film in cui i due amanti finiscono per non vivere per sempre insieme, felici e contenti. Ci sono tante cose che possono andar male dopo l’happy end, mentre il fatto che i due protagonisti condividano per sempre il ricordo del loro amore lo rende ancora più puro e bello.