Juve, Milan, Roma con le prime partite hanno già deluso i tifosi, i sogni dello scudetto assegnato sulla base del calciomercato estivo sono già svaniti, le tifoserie deluse rumoreggiano e alcune passano all’azione. Negli ultimi anni abbiamo visto croci sul campo, epigrafi mortuarie con i nomi dei calciatori, scritte minacciose sotto casa, calci e pugni, obbligo di togliersi la maglia della squadra perché “non si è degni di indossarla”. I motivi? Perdere una o più partite di seguito, disattendere le aspettative dei tifosi, concedersi in privato momenti di svago ritenuti inopportuni. In Italia nessuna categoria di lavoratori è oggetto di violenza fisica e psicologica come quella dei calciatori, spesso la paura, l’umiliazione, l’isolamento e la perdita di libertà prendono il sopravvento. Tanti calciatori sono convinti che faccia parte del mestiere e subiscono in silenzio, pochi hanno il coraggio di denunciare. Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma e della nazionale, oggi a capo del sindacato dei calciatori, l’Aic, punta il dito sull’omertà nel calcio e il perverso rapporto tra i club e le tifoserie.

Il calciatore ha una vita privilegiata?

L’opinione pubblica ha un’idea stereotipata dei calciatori, in particolare di quelli che giocano ai massimi livelli, è convinta che siano persone che vivono una vita fatta esclusivamente di agi e di privilegi, a partire da quelli di carattere economico. La realtà è diversa, non solo non risponde al vero che tutti i calciatori guadagnino cifre astronomiche, ma coloro che giocano a calcio per professione o per divertimento, oltre un milione a vari livelli, sono persone che possono vivere anche situazioni problematiche molto spesso sconosciute al grande pubblico come le minacce, le intimidazioni, le violenze, le discriminazioni che subiscono dentro e fuori lo stadio, come singoli e come squadra, sia direttamente che indirettamente, nel senso che si colpiscono anche le loro famiglie o le cose di loro proprietà.

Perché i calciatori sono sotto tiro?

I calciatori devono prendere coscienza che non è normale rischiare l’incolumità fisica per un risultato, subire umiliazioni e violenze psicologiche solo perché il rendimento non è quello voluto dalla tifoseria. Non è normale che la parte attiva di questo comportamento anomalo e fuori luogo siano i sostenitori della squadra nella quale si gioca. I calciatori sono sotto tiro perché oggetto di minacce, intimidazioni, atti di violenza fisica, verbale e psicologica da parte di singoli o di gruppi organizzati delle tifoserie, se non addirittura di clan mafiosi. Le cause sono attribuibili principalmente alla scarsa sicurezza degli stadi e a una radicata carenza culturale causa ed effetto di una scarsa educazione al tifo. Molti tifosi pensano di poter dare libero sfogo agli istinti più beceri e violenti, convinti di poterla fare franca. Non è semplice, infatti, individuare i responsabili di atti molto gravi compiuti durante le partite, le difficoltà aumentano, anche per le forze dell’ordine e per gli inquirenti, se si considera la diffusa cultura dell’omertà che da tempo permea il mondo del pallone e delle curve insieme ad un malsano rapporto che esiste tra società di calcio e tifoserie.

Cosa ha fatto l’Aic per tutelare i calciatori?

All’inizio del 2000, l’Associazione Italiana Calciatori ha denunciato e condannato pubblicamente in più occasioni le violenze, le minacce e le intimidazioni a danno dei giocatori. Sergio Campana, allora presidente dell’Associazione, ha fatto sentire in diversi momenti, attraverso comunicati stampa e interventi pubblici, la voce del sindacato dei calciatori, giungendo persino a chiedere di fermare per sei mesi i campionati professionistici, per riflettere su come affrontare la violenza che ieri come oggi permea il mondo del pallone dai campi di calcio alle tribune fino ad arrivare al di fuori degli stadi. Campana, in più occasioni, ha denunciato anche la negligenza di alcune società calcistiche in relazione alla loro capacità di garantire determinati livelli di sicurezza e di controllo dentro e fuori gli stadi, nonché il malsano rapporto e le complicità tra frange del tifo violento e i presidenti delle squadre. Nel dicembre 2002, l’AIC ha messo in atto una forma di protesta particolare e simbolica: i giocatori professionisti sono scesi in campo con quindici minuti di ritardo rispetto al regolare inizio delle partite e i capitani delle squadre hanno letto un messaggio prima dell’inizio dell’incontro. Nonostante questi atti, che avevano l’obiettivo di sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica e i tifosi, violenze e minacce sembrano proseguire senza soluzione di continuità.

I calciatori denunciano al sindacato le violenze di cui sono oggetto o subiscono in silenzio? In quali zone sono maggiormente “sotto tiro”?

Più del 60% dei calciatori professionisti sono oggetto di violenza, ma non tutto ciò che accade viene denunciato, quanto a nostra conoscenza costituisce solo una parte di un fenomeno dilagante e preoccupante. Singoli calciatori risultano essere “sotto tiro” in 15 regioni e 27 province italiane, nelle quali si manifestano differenze significative degli atti intimidatori subiti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Sommando i dati delle regioni meridionali, dove si è censito il 44% dei casi, cui si aggiunge l’8% delle Isole con una netta prevalenza della Sicilia rispetto alla Sardegna, possiamo affermare che il sud è l’area in cui risulta più rischioso giocare a pallone in Italia, in particolare la Campania con il 30% dei casi censiti è la regione dove sono emersi pubblicamente il maggior numero di atti di intimidazione e di minaccia a danno dei calciatori. I nostri dati si riferiscono al campionato 2013-2014.

Qual è l’episodio più grave che si è verificato?

Il 10 novembre 2013 in occasione del derby Salernitana-Nocerina, i calciatori della Nocerina sono stati pesantemente minacciati da parte di un congruo numero di tifosi che li ha assediati durante il ritiro in albergo e prima di salire sul pullman che li avrebbe portati allo stadio Arechi. I tifosi della Nocerina, erano stati diffidati dall’assistere alla partita per ragioni di ordine pubblico, perciò “invitarono” i calciatori a non scendere in campo, mentre il questore di Salerno li esortava a disputare regolarmente la partita. La vicenda ha avuto un epilogo drammatico per le sorti della società e dei calciatori: la Nocerina è stata esclusa dal campionato di Lega Pro, cinque giocatori hanno subito una squalifica superiore ad un anno mentre i dirigenti sono stati squalificati per tre anni. Nel gennaio 2014, l’amministratore unico della squadra, Giovanni Citarella, è stato arrestato con l’accusa di evasione fiscale, emetteva false fatturazioni e faceva pagamenti di stipendi in nero a giocatori e dipendenti della società. Restando alla Campania, i calciatori sotto tiro sono stati soprattutto quelli della Lega Pro (ex serie C, ndr) e dei campionati dilettantistici, non solo nel salernitano, ma anche nella provincia di Napoli, di Avellino e di Benevento.

Che cosa succede nelle serie minori?

Un esempio potrebbe essere quello dei cinque giocatori di una squadra allievi presi a calci e pugni dentro un bar di Mercato San Severino. In provincia di Napoli, situazioni particolarmente critiche si sono registrate a Torre del Greco e Giugliano, a marzo e ad aprile del 2014, i giocatori della Turris, squadra capolista del campionato di Serie D campano, sono stati fatti oggetto di due episodi altrettanto violenti e intimidatori. Il primo è accaduto al termine della partita contro il Real Metapontino, in quell’occasione, i calciatori sono stati costretti a togliersi e a consegnare la maglia ai tifosi nonché a subire, da parte di questi ultimi, una serie di insulti e di minacce verbali. Il secondo episodio si è verificato a metà aprile, quando un gruppo di persone è entrato sul campo di allenamento ed ha iniziato a picchiare i calciatori presenti sul campo con schiaffi, calci e colpi di cintura. A seguito di questi episodi, i dirigenti della squadra hanno dichiarato di voler lasciare la città di Torre del Greco. Il 23 marzo, al termine della partita tra Giugliano e Virtus Volla, valevole per il campionato di Eccellenza campana, si è assistito ad una folle aggressione ai danni della squadra ospite che si è conclusa con feriti e contusi. Un calciatore del Virtus Volla è stato aggredito con una sedia ed ha riportato un vistoso taglio alla testa. Dopo questi fatti, il presidente del Giugliano, ha deciso di ritirare la squadra dal campionato. Nel 2009, i calciatori della squadra del Castellamare di Stabia che giocava in Lega Pro ritornati dopo la sconfitta contro la Pistoiese, furono costretti a togliersi la maglia e i pantaloni e a restare in mutande. Alcuni calciatori scoppiarono a piangere vivendo questo gesto con un mix di paura e umiliazione. In seguito, nello stadio della Juve Stabia furono fatti trovare dei lumini funebri sulla panchina e delle epigrafi mortuarie con i nomi e i cognomi di alcuni calciatori.

Il calcio campano è tutto calci e pugni?

No, vi sono anche casi positivi tra tutti quello della Nuova Quarto Calcio, un team che secondo i magistrati del tribunale di Napoli, sarebbe stato di proprietà di un clan camorristico. La squadra una volta sequestrata, è stata data in gestione ad un gruppo di imprenditori che si sono ribellati al pagamento del “pizzo” mafioso. Questi imprenditori hanno contribuito a dare vita ad un progetto di carattere non solo sportivo, ma anche culturale. La parola legalità è stata scritta sulle maglie dei calciatori e su alcuni cartelloni dello stadio Giarrusso di Quarto. Questo impegno ha reso la squadra oggetto di una serie di atti intimidatori che sono culminati nel danneggiamento alle strutture, nei cori offensivi, nel furto di materiale sportivo e di trofei vinti in gare e tornei organizzati in nome della legalità. I dirigenti e i calciatori non si sono fatti intimorire, nonostante le ripetute minacce e intimidazioni, la Nuova Quarto Calcio nel 2014 ha vinto il campionato di Eccellenza ed ha ricevuto la visita della Nazionale italiana.

Nelle squadre del nord i calciatori sono sotto tiro?

Nel Nord Italia, si è registrato il 29% degli episodi, per quanto riguarda la Serie A in particolare nelle città di Milano, Torino, Parma e Udine, a Padova per la Serie B e nelle province di Vicenza e Verbano-Cusio-Ossola per quanto attiene ai campionati di Serie D e di Promozione. A Milano, allo stadio di San Siro, il 23 novembre del 2013, in curva sono stati esposti striscioni con scritte offensive e intimidatorie nei confronti dei giocatori del Milan, accusati di non essere all’altezza delle aspettative di classifica di campionato e delle sfide nelle coppe internazionali, alla fine della partita, circa 400 tifosi hanno assediato la squadra, costringendo i calciatori a restare chiusi per diverso tempo negli spogliatoi. Il 23 febbraio 2014, a Torino, durante il derby tra le due squadre cittadine, nella curva della Juventus sono stati esibiti due striscioni contro la squadra granata, irridendo alla tragedia di Superga del 1949, nella quale l’intera squadra di calcio del Torino morì tragicamente in un incidente aereo. In relazione agli anni precedenti, non va dimenticato che a Torino, quattro giocatori granata nel gennaio del 2010, mentre erano a cena con le loro famiglie in un ristorante per festeggiare il compleanno del loro capitano furono aggrediti con schiaffi e pugni davanti ai loro figli. Ad Alessandria, nel settembre del 2010, si è assistito all’aggressione fisica del portiere del Gubbio e di quella dei suoi genitori mentre passavano davanti ad un bar al termine della partita di Lega Pro disputata con la squadra di casa. Per quanto riguarda la Serie B, i maggiori fatti di violenza si sono verificati nei confronti dei calciatori della squadra del Padova. La non facile situazione in campionato, ha fatto sì che i calciatori fossero presi di mira dalla tifoseria con scritte minacciose allo stadio, al centro di allenamento e nei pressi dell’albergo dove la squadra va in ritiro, nonché di cori offensivi durante le partite. Inoltre, nel febbraio di quest’anno, al termine della partita contro il Latina, i calciatori patavini sono stati costretti dai tifosi a togliersi la maglia e a consegnarla prima di entrare negli spogliatoi.

Le minacce riguardano i calciatori come squadra o anche i singoli e in quali periodi del campionato si accentuano maggiormente?

Ne 65% dei casi si tratta dell’intera squadra o di un significativo gruppo di calciatori, nel 35% ad essere minacciato è il singolo. Esaminando la situazione da un punto di vista temporale, e volendo suddividere gli episodi censiti da luglio 2013 a maggio 2014, possiamo affermare che il 70% degli atti intimidatori e di minaccia si concentrano prevalentemente nei primi cinque mesi dell’anno, facendo registrare due picchi particolarmente significativi, uno nel mese di marzo con il 23% del totale e l’altro nel mese di aprile con il 18% del totale. Nel 2013, invece, il picco degli atti intimidatori e minacciosi si è registrato nel mese di novembre con il 14% del totale. I Singoli calciatori sono vittime di atti violenti e minacciosi in Serie A, Lega Pro, Prima categoria e Primavera, mentre le minacce e le violenze verso le squadre, intese nella loro totalità o parzialità si verificano in Serie B, Serie D, Promozione, Campionati Allievi.

Chi sono gli esecutori delle minacce e quali sono i motivi scatenanti?

In un caso su due la minaccia verso i calciatori viene dai propri supporter, si tratta di persone che considerano i calciatori come dei loro dipendenti, il pagamento del biglietto di ingresso allo stadio conferisce automaticamente il diritto all’insulto, all’umiliazione e all’esercizio della violenza. I motivi scatenanti del ricorso alla violenza spesso sono da rintracciare nella cattiva posizione in classifica della squadra, nella sconfitta di diverse partite consecutive, nel rendimento ritenuto inferiore alle aspettative da parte dei tifosi, nella volontà di un giocatore di voler cambiare squadra, in un saluto dato agli ex tifosi o in un mancato saluto ai propri.

I calciatori subiscono solo violenza fisica o anche psicologica?

Per intimidire i calciatori la formula cui si ricorre maggiormente è la violenza fisica nel 35% dei casi. Lo stadio può diventare terreno di conquista e di minaccia anche quando non si disputa una partita, come è accaduto due anni fa ad Ascoli quando la squadra militava nel campionato di serie B e stava rischiando la retrocessione in Lega Pro, durante la notte alcuni ignoti hanno piantato delle croci in mezzo al campo ed hanno attaccato due striscioni che riportavano questa scritta: “11.05.13, quando la squadra molla la città ruggisce”. Negli ultimi tempi, si sono registrati diversi episodi in cui frange di gruppi ultras hanno costretto i calciatori a togliersi e a consegnare la maglia, come atto di umiliazione e di sottomissione, emulando quanto accade a Genova il 22 aprile 2012, in occasione della partita Genoa-Siena. Fatti del genere, durante il campionato 2013-14 sono successi nei confronti dei calciatori dell’Agropoli, del Monopoli, della Turris e del Padova.

Una parte del mondo del calcio, compresa certa stampa sportiva, considera queste violenze episodiche, frutto di qualche tifoseria turbolenta.

Non è possibile continuare ad affrontare in modo episodico il fenomeno delle minacce, delle intimidazioni e delle discriminazioni ai danni dei calciatori. E’ sintomatico che in Italia, sino ad oggi non sia stata svolta un’indagine approfondita sui “calciatori sotto tiro”, nonostante la situazione sia più diffusa di quanto si pensi e di quanto sia emerso finora. Non tutto ciò che accade viene denunciato dai calciatori, sia per paura che per complicità e connivenza, questo succede perché diversi calciatori e operatori del mondo del pallone considerano “normale” che certe cose possano accadere. C’è poco di normale quando si viene picchiati e minacciati.