L’Associazione italiana calciatori (Aic) ha definito «discriminatoria» l’idea di non consentire gli allenamenti individuali negli impianti sportivi per i giocatori, al pari di altri atleti, ma già dalle scorse settimane è stata molto cauta sulla ripresa del campionato. «Sarà un periodo sicuramente atipico, ma se lo viviamo come una parentesi sappiamo che prima o dopo si chiuderà» dice al manifesto Damiano Tommasi, ex centrocampista di Roma e Nazionale e presidente del sindacato dei calciatori nato nel 1968.

Per l’Aic il calcio deve ripartire o no?

Sugli allenamenti siamo tutti dalla stessa parte: vogliamo che avvengano in sicurezza. La nostra richiesta è renderli possibili in forma individuale anche per gli sport di squadra. Serve un protocollo ad hoc, come quello che seguono gli atleti di sport individuali, da applicare almeno per le prossime settimane. Così si potrebbe arrivare al 18 maggio, quando dovrebbero ricominciare gli allenamenti in squadra, avendo fatto individualmente una parte del lavoro presso i centri sportivi. Questa richiesta di valutazione è al vaglio. Il comitato scientifico non ha ancora validato il protocollo del 18 e visto che l’allenamento individuale ha meno vincoli speriamo di poter fare almeno quell’attività sul campo sportivo.

E il campionato?

Per il momento non se ne sta parlando. Sicuramente l’orizzonte temporale non è quello che tutti speravamo. Ci sono pochi mesi davanti.

I dirigenti, pressati dalle Tv, spingono per ricominciare a ogni costo, ma la salute che si mette a rischio è quella dei giocatori, insieme agli altri dipendenti, come massaggiatori e accompagnatori. I calciatori sono disposti ad accettare qualsiasi decisione?

Siamo tutti all’ascolto della comunità scientifica. Anche chi ha ruoli di responsabilità – come i governatori delle regioni o i sindaci – dipende comunque da valutazioni che devono esser fatte dalla comunità scientifica. Tornare a giocare è la volontà di tanti, ma sicuramente le due paroline “in sicurezza” sono quelle che dettano il discrimine. Oggi cosa significa “in sicurezza” lo decidono i medici a seconda delle curve epidemiologiche del virus. Se questa fosse un’emergenza conosciuta si avrebbero più certezze. In questa situazione, invece, si sta facendo a piccoli passi quello che si può.

Continuano a scarseggiare i tamponi e per ricominciare a giocare bisognerebbe usarne un bel po’ per la serie A. Ha senso?

È una delle condizioni che hanno chiesto anche i giocatori, con tutto il mondo del calcio. La sicurezza deve inserirsi nel contesto paese. Soprattutto in alcune regioni è doveroso che nel caso in cui ci sia la possibilità di fare attività sportiva con i test, come da protocollo eventualmente approvato, ciò dovrà avvenire sapendo che si è in Italia, in Lombardia, in emergenza e non ci si può permettere di creare ulteriori tensioni.

Soltanto la Serie A sarebbe in grado di ottemperare al protocollo medico e far fronte ai relativi costi. Non solo i Dilettanti, ma nemmeno la B e la C ne sarebbero in grado. Quale futuro per questo calcio figlio di un dio minore?

Siamo concordi che questo calcio soffrirà più di altri settori. Anche perché si inserisce in quel filone dello sport finanziato da privati che da decenni tiene in piedi il nostro sistema. Oggi le aziende stanno soffrendo e i proprietari sosterranno sempre meno le attività extra-aziendali. In questo senso è un’area della nostra federazione che stiamo osservando con attenzione. Ci sono tante ragazze e tanti ragazzi che vivono di calcio e hanno stipendi normali. Questa situazione, che non è solo di attuale blocco ma soprattutto di incertezza per il futuro, preoccupa non poco. Anche per questo ci si augura di poter tornare in campo, per fare il proprio lavoro. Purtroppo sappiamo che le due parole “in sicurezza” comportano costi, strutture, personale e riguardano i territori, visto che alcuni luoghi sono più sicuri di altri al momento. Per tutte queste situazioni aspettiamo di vedere il protocollo approvato e validato. Solo dopo riusciremo a capire se è effettivamente applicabile solo in alcune città. Quello che abbiamo chiesto è di renderlo semplice, applicabile ed efficace. Poi vedremo se ci saranno le condizioni. E ci auguriamo ci siano.

Come cambierà il calcio, in campo e fuori, senza pubblico?

Non so se ci sarà un calcio senza pubblico. Sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per poter assistere allo sport, ma anche agli altri spettacoli. Ci dovremo abituare. Le ultime settimane in cui sono state giocate le partite purtroppo le abbiamo vissute così. Serve il tempo necessario a mettere tutti in sicurezza. Sarà un periodo atipico, ma se lo viviamo come una parentesi sappiamo che prima o dopo si chiuderà e ci dovremo preparare alla fase successiva. Ormai si son giocate partite a porte chiuse diverse volte, non è una novità. La novità sarà vedere così la quotidianità. E questo ovviamente dispiace.