«Il lavoro di cittadinanza di cui ha parlato Renzi non so cosa voglia dire: se si vogliono individuare, dopo la messa al bando della logica del posto fisso a vita, degli strumenti per dare continuità al lavoro dei giovani e sottrarli all’umiliazione del precariato, allora ci siamo. Però non si deve più ritenere il Jobs Act un totem, e accettare che in diversi punti vada modificato». Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), è piuttosto critico rispetto all’ultima uscita del suo segretario, Matteo Renzi. E quindi rilancia: l’urgenza per i giovani, in particolare per chi ha cominciato a lavorare dopo l’1 gennaio 1996, è l’inconsistenza delle future pensioni calcolate con il solo metodo contributivo, tanto più con carriere discontinue alle spalle. Allora si deve pensare a una «pensione di cittadinanza», una forma di garanzia finanziata dalla fiscalità generale, ma anche in parte dalla previdenza.

Partiamo però dalle eventuali modifiche al Jobs Act, mi pare un nodo interessante.

Per assicurare a chi lavora una continuità – e quindi dignità, che è parte necessaria della cittadinanza – devi agire su più leve. Innanzitutto bisogna rivedere la normativa sull’articolo 18, per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e quelli disciplinari, ripristinando in alcuni casi la reintegra. Poi devi rendere strutturali gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato, in modo da rendere questo contratto meno costoso di quelli flessibili: finora gli incentivi sono stati solo uno spot, alti nel 2015 e adesso quasi spariti. Infine, gli ammortizzatori sociali: va ripristinata, in termini eccezionali e mirati, la mobilità, perché se perdi il lavoro intorno ai 60 anni e l’età di pensione è stata spostata di 5 o 6 anni, ti ritrovi un gap che non puoi più colmare con gli attuali sostegni. Noi abbiamo già fatto la prima parte, permettendo con l’Ape di anticipare l’uscita a 63 anni: adesso dobbiamo riformare gli ammortizzatori. Quest’anno ci sono già 185 mila lavoratori che finita la mobilità non avranno più l’incentivo alla ricollocazione e non è detto che arrivino alla pensione: sono nuovi disoccupati potenziali.

E la «pensione di cittadinanza» invece cos’è?

È prevista nella proposta di legge 2100 Gnecchi-Damiano: prevede che per tutti i lavoratori andati in pensione dal ’96 con il contributivo si assicuri un assegno base pari a quello sociale, circa 500 euro. Poi ciascun lavoratore aggiungerà i suoi contributi: ma questo assegno base è finanziato dalla fiscalità generale e in parte dalla stessa previdenza. È una misura di civiltà, si evita che ci sia un esercito di nuovi poveri, prendendo come standard di dignità un assegno di 1500 euro lordi e integrando la parte mancante a tale soglia. Lo stesso principio è contenuto nel verbale firmato da governo e Cgil, Cisl e Uil lo scorso settembre. Chi ha alle spalle una carriera fatta di contratti a termine, licenziamenti, voucher, stage, non avrà i contributi sufficienti per un assegno dignitoso. Le risorse si possono trovare anche modificando i meccanismi interni allo stesso sistema previdenziale. Ad esempio con il contributivo non esiste più l’integrazione al minimo: reinvestiamo quei miliardi per la pensione dei giovani di oggi.

Sui voucher state tentando l’accordo anche con l’opposizione per una legge condivisa. È a portata di mano? E perché il governo non fissa la data del referendum?

La relatrice Patrizia Maestri, del Pd, sta unificando le 8 proposte di legge attuali, quattro delle quali – tra cui la mia – sono omogenee tra loro. Il criterio su cui ci orientiamo, che ci auguriamo trovi il consenso del governo, è quello di tornare alla formulazione della legge Biagi del 2003: attività puramente occasionali e accessorie, piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare, insegnamento privato, giardinaggio ed escludendo le imprese dal loro uso. Pensiamo anche a nuovi voucher per le manifestazioni culturali, caritatevoli e sociali. I ticket dovranno essere però limitati ad alcune categorie: disoccupati, studenti, pensionati, extracomunitari regolari. Infine si pensa di riportare la soglia annuale per committente da 7 mila 5 mila euro. Quanto alla data del referendum, è una domanda che dovete fare al governo.