«Le correzioni su soglie di reddito, durata e settori di applicazione che avrebbe in mente di fare il governo non sono sufficienti: i voucher devono tornare alla rigida limitazione originaria, quella della legge Biagi del 2003. Buoni per retribuire solo prestazioni occasionali, altrimenti tenderanno a sostituire sempre il lavoro dipendente». Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), spiega che i due referendum passati al vaglio della Consulta possono essere uno stimolo per correggere per via parlamentare la normativa sui ticket lavoro e sugli appalti.

Partiamo dalla bocciatura del quesito sull’articolo 18. Ve lo aspettavate?

Avevo messo in conto una maggiore difficoltà per il quesito sull’articolo 18, perché la sua scrittura era più complessa rispetto a quella degli altri due, su voucher e appalti. Quindi offriva maggiormente il fianco a diverse interpretazioni. Ho ritenuto però sbagliato l’argomento presentato dall’Avvocatura dello Stato, che si è espressa per conto del governo, sulla cosiddetta natura «manipolativa» del quesito.

In base a quali ragioni?

Innanzitutto perché ci sono stati alcuni precedenti simili, che avevano superato il vaglio della Corte: il referendum dei radicali del 1993, relativo al modello di elezione del Senato, conteneva un quesito parzialmente abrogativo come quello della Cgil sui licenziamenti. E lo stesso possiamo dire su un altro referendum, quello del 2003, tra l’altro proprio sull’articolo 18. In secondo luogo, con l’attuale referendum si intendeva abrogare la soglia dei 15 dipendenti, e di conseguenza sarebbe sopravvissuta la seconda soglia contenuta nello Statuto del 1970, quella dei 5 dipendenti, ascrivibile al solo lavoro agricolo che a quel punto sarebbe diventata una soglia generale. Non ho visto insomma nulla di «manipolativo» nel quesito.

La Cgil parla di «pressioni senza precedenti da parte del governo». Del parere dell’Avvocatura come «scelta politica dell’esecutivo». La linea d’azione del governo è stata del tutto fisiologica?

La Consulta ha votato a maggioranza, come sempre: io non ritengo che ci sia stata da parte sua una valutazione politica. Ma certo, le pressioni ci sono state, abbiamo visto tutti il dibattito su tv e giornali. Io dico, però, pienamente legittime, sia da parte del sindacato che del governo. L’esecutivo, nella misura in cui un referendum poteva mettere in discussione una legge fondamentale per il suo operato come il Jobs Act, si è giocato le sue carte.

L’impennata dei licenziamenti disciplinari dopo il Jobs Act non indica la necessità, comunque, di un intervento?
Assolutamente sì, e già prima della sentenza avevo detto che i quesiti della Cgil, al di là della condivisione o meno degli obiettivi, hanno a che fare con contraddizioni reali, che esistono nel mondo del lavoro. L’abuso dei voucher è sotto gli occhi di tutti, l’esigenza di una responsabilità solidale nella filiera degli appalti è altrettanto ovvia. E visto che secondo i dati dell’Osservatorio Inps, i licenziamenti per motivi disciplinari sono aumentati del 28% nei primi 10 mesi del 2016 rispetto allo stesso periodo del 2015, penso che il tema si debba affrontare.

Come si potrebbe risolvere?

Indaghiamo il perché di questa crescita, che potrebbe essere dovuta anche alla normativa più stringente che abbiamo introdotto sulle dimissioni in bianco e ai maggiori controlli, e poi agiamo chirurgicamente sui licenziamenti disciplinari. Aggiungo anche su quelli collettivi: avevamo fatto un accordo con Renzi perché non ricadessero sotto le regole del Jobs Act, ma poi i decreti hanno disatteso questo impegno. Ricostruiamo insomma maggiori tutele, ma non mi pare possibile sostenere oggi il ritorno alla normativa del 1970 o addirittura un abbassamento della soglia a 5 dipendenti.

Quanto ai voucher il governo starebbe pensando di riportare la soglia massima di reddito annuo ai 5 mila euro, di limitare la durata dei buoni e di escludere soltanto alcuni settori come l’edilizia. Potrebbe bastare?

No, sarebbe insufficiente. Non basterebbe a evitare la sostituzione del lavoro a termine o a tempo indeterminato. Ma d’altronde io non ritengo neanche che i voucher si debbano eliminare del tutto: perché se limitati a reali prestazioni occasionali sono utili per fare emergere il nero. Ripartirei dalla mia proposta di legge, depositata nel febbraio 2016, che è stata sottoscritta da 100 parlamentari Pd, con firme trasversali, da Mauri a Cuperlo a Speranza e Epifani. Dice di tornare alla formulazione del 2003 della legge Biagi: voucher solo per piccoli lavori di giardinaggio e domestici, per le lezioni private, per le fiere e i lavori di emergenza prestati solo da alcune categorie di lavoratori come i disoccupati di lunga durata, i pensionati, gli studenti.

Per gli appalti, si pensa ugualmente a una correzione parlamentare?

Segnalo un’altra proposta di legge, a firma mia e di Maria Luisa Gnecchi, che ripristina anche in questo caso una norma della legge Biagi: la solidarietà in capo al committente per tutta la catena degli appalti relativamente alle retribuzioni dei lavoratori e ai contributi previdenziali.