La minoranza del Pd non ci sta a farsi ingabbiare dagli ultimatum del segretario Matteo Renzi, e conferma di lavorare a una serie di emendamenti che proveranno a correggere l’«Italicum», su due punti in particolare: le preferenze, da sostituire ai «listini bloccati», e la soglia minima di voti necessaria per accedere alla ripartizione dei seggi. «Sono temi non di una minoranza, ma che attengono alla democrazia», spiega Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera ed ex ministro del Lavoro nel governo Prodi. «Cercheremo di portare avanti la nostra battaglia nelle sedi giuste e mediante il confronto con la maggioranza del partito, ma è evidente che le modifiche si fanno con gli emendamenti».

Quindi per voi l’Italicum deve essere cambiato.

L’accordo tra Renzi e Berlusconi non ha risolto questioni dirimenti, come quella di riconsegnare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, invece di avere un Parlamento di «nominati». Dato che i parlamentari non sono passacarte, bisogna trovare una soluzione che migliori la legge. Noi porteremo avanti questa battaglia, senza chiuderci in logiche di corrente.

Quindi state preparando una serie di emendamenti.

Ci sarà una discussione nella commissione Affari costituzionali, e spero che si creino le condizioni per cambiare la legge. Ma lo si può fare soltanto attraverso emendamenti, è evidente.

So che vi preoccupa anche il tema della soglia di accesso, a cui è sensibile soprattutto Sel.

Sì, come minoranza abbiamo posto una serie di questioni, oltre le preferenze. Sarebbe preferibile abbassare la soglia di accesso: direi che il livello normale è rappresentato dal 4% piuttosto che dall’attuale 5%. Così come sarebbe bene aumentare la soglia, attualmente al 35%, che dà alla coalizione il diritto al premio di maggioranza. Ed è anche importante preservare la doppia candidatura di genere nelle liste. C’è insomma la possibilità di un miglioramento, senza che questo venga letto come volontà di impedire che si arrivi a una riforma. Vogliamo che la riforma si faccia, perché il Paese ne ha bisogno, ma senza trovarci davanti a un «prendere o lasciare».

È vero che Renzi gestisce il Pd in modo padronale, che prende in giro chi dissente?

È vero che ha vinto le primarie con un risultato importante, ma questo non significa un’investitura plebiscitaria che dà diritto di comando. Ci serve un dirigente, non un comandante. Nei casi Fassina e Cuperlo c’è stata una caduta di stile del segretario.

Chi dovrebbe essere il prossimo presidente del Pd?

Il nome di Bersani, se fosse disponibile, sarebbe ottimo: ha dimostrato dedizione al partito, ha commesso anche errori ma soprattutto ha fatto cose importanti. Meriterebbe questo riconoscimento, e rappresenterebbe tutti.

Il governo dovrebbe subire un forte rimpasto? E Renzi dovrebbe impegnarsi in prima linea?

Il governo si è logorato, anche a causa delle pressioni del Pd a guida Renzi. Vedo necessario un rimpasto, in cui Renzi contribuisca in modo importante: un Letta bis, una nuova compagine che presenti un programma. Altrimenti, in queste condizioni, fatta la legge elettorale, è meglio che si vada al voto.

Bisognerebbe cambiare i ministri economici, Saccomanni, Zanonato e Giovannini?

Non dò pagelle, avendo fatto quel mestiere. Quei ministri si sono trovati scarsità di risorse, crescita della disoccupazione e chiusura delle fabbriche, a causa non loro ma per la crisi che è iniziata nel 2008. Non faccio il totoministri, ma capisco che il rimpasto sarà importante, che non sarà solo questione di aggiustamenti.

Di Giovannini a Damiano non piace la proposta sul «prestito» anti-esodati. Perché?

Se si parla di anticipare solo da 67 a 65 anni, diciamocelo, non basta. Quanto al prestito, vorrei capire meglio. Come interviene lo Stato, come l’impresa e come il lavoratore? Faccio notare che chiedendo un intervento delle imprese, stiamo parlando solo di quelle grosse, e con ampie disponibilità. Francamente credo che la revisione della riforma Fornero sia stata affrontata con ritardo: ha creato enormi danni sociali, con gli esodati – tema non risolto; e innalzando l’età di uscita a 67 anni, impedisce ai giovani di entrare nel mercato del lavoro. A me convince di più l’idea di cambiare strutturalmente la legge Fornero, non con semplici rammendi: io ho proposto un’uscita flessibile, dai 62 ai 70 anni, con 35 anni di contributi, e una penale dell’8% per chi esce a 62 anni. Parliamone.

Cgil e Fiom si scontrano sulle sanzioni previste nel nuovo accordo sulla rappresentanza. Cosa ne pensa Damiano?

Credo sia giusto che le parti si impegnino a rispettare gli accordi, prevedendo clausole di sanzione o di raffreddamento. Si tratta di capire però se queste sanzioni inibiscano diritti fondamentali: una cosa sono i diritti sindacali, un’altra il diritto di sciopero.