È un Bashar Assad disponibile verso l’iniziativa dell’alleata Russia e, allo stesso tempo, pronto ad alzare la posta quello che ieri è apparso davanti alle telecamere della televisione russa Rossia 24. «Nel giro di qualche giorno, la Siria invierà un messaggio all’Onu e all’organizzazione per il divieto delle armi chimiche, nel quale ci saranno i documenti tecnici necessari per firmare l’accordo», ha annunciato il presidente siriano confermando il «sì» di Damasco alla proposta di Mosca. Ponendo però delle condizioni.

«Voglio che sia chiaro a tutti che questi impegni non saranno rispettati in modo unilaterale, che non vuol dire che la Siria firmerà i documenti, adempierà alle condizioni e che ci si fermerà lì», ha spiegato Assad. «È un processo bilaterale – ha aggiunto – quando noi vedremo che gli Usa vogliono effettivamente la stabilità nella regione, finiranno di minacciare e di cercare di attaccarci e di fornire armi ai terroristi (i ribelli), allora noi riterremo di poter condurre i processi sino alla fine e che saranno accettabili per la Siria».

I ribelli evocati dal presidente siriano non hanno mancato di esprimere la loro furia per il «sì» di Obama e dei suoi alleati all’iniziativa russa, rinunciando alla guerra. L’Esercito libero siriano (Els, la milizia della Coalizione Nazionale dell’opposizione) ha respinto la proposta di Mosca e lo ha fatto attraverso il suo personaggio più in vista, il “capo di stato maggiore” Selim Idriss. «L’Els respinge categoricamente l’iniziativa russa di porre le armi chimiche sotto controllo internazionale», ha detto. Per Idriss, che con l’opposizione invocava l’attacco militare americano alla Siria, «non ci si può limitare a ritirare le armi chimiche che sono l’arma del crimine, ma bisogna giudicare di fronte alla corte penale internazionale l’autore del crimine, che ha ammesso di possedere l’arma e che ha accettato di disfarsene». Assad non ha mai negato il possesso da parte delle sue forze armate delle armi chimiche – che la Siria descrive come un “deterrente” alla bomba atomica israeliana – ma ha smentito che siano state usate durante la guerra civile.

Il generale disertore Idriss, che rappresenta per conto dell’Arabia Saudita il variegato fronte dell’Esl, ha quindi affermato che i Paesi anti-Assad devono sostenere «con maggiori quantità di armi» i ribelli. A suo sostegno è intervenuto il premier turco Erdogan che, incurante della forte ripresa delle proteste popolari nel suo Paese, ha trovato il tempo per accusare il presidente siriano di «guadagnare tempo per nuovi massacri». I giornali turchi ieri raccontavano della frustrazione del governo islamista per l’apparente allontanamento dell’ipotesi di un attacco americano dopo l’accettazione siriana della proposta russa.

In Siria intanto la guerra civile va avanti. L’aviazione governativa ha colpito di nuovo Aleppo e fonti dell’opposizione parlano di morti in un ospedale da campo colpito dalle bombe. Si combatte ancora a Maaloula, il villaggio cristiano preso da gruppi qaedisti. Ai soldati governativi si sono affiancati giovani cristiani. L’impresa di liberare il villaggio dalle ultime sacche di resistenza si preannuncia molto ardua, per la struttura stessa del villaggio, dove le case sono arroccate sulle pendici della montagna. L’agenzia Fides riferisce un bilancio di tre giovani greco cattolici uccisi e di sei cristiani tuttora sequestrati.

I religiosi tuttora presenti nel villaggio sono sani e salvi. Sono 20 invece i civili della minoranza alawita – la stessa cui appartiene il presidente Bashar Assad – uccisi tre giorni fa nel villaggio di Maksar al Husan, vicino a Homs, durante un’incursione di ribelli qaedisti del Fronte Al Nusra.