Suona nuovamente vivo e potente il battito hip-hop della Palestina, nel terzo album da studio dei DAM, veri e propri capofila del genere dalle parti di Ramallah e dintorni. Il rientro è roboante, grazie ad una manciata di incisioni di qualità. La formazione nata nel 1999, realizza un disco che coniuga arrangiamenti contemporanei a richiami rap della old school. Il suono della strada con il quale si erano fatti conoscere nell’esordio discografico Dedication del 2006, capace di svilupparsi nel successivo Dabke On The Moon (2012) dopo, si evolve ulteriormente nelle nuove tredici canzoni raccolte sotto il titolo Ben Haana Wa Maana. La componente electro ha un peso considerevole, contribuendo a garantire groove e profondità al suono, ed esaltando le metriche proposte dalla band.

UN ALBUM realizzato in quartetto salvo rimanere subito dopo in trio a seguito dell’fuoriuscita di Suhel Nafar, divenuto nel frattempo responsabile mondiale del settore musicale e culturale arabo di Spotify. Il combo, composto ora da Maysa Daw, Mahmoud Jreri e Tamer Nafar sottolinea le differenze tra i lavori passati e il nuovo Ben Haana Wa Maana: «Abbiamo inciso Dabke On The Moon nello stesso momento in cui giravamo il film Slingshot Hip Hop diretto da J. R. Salloum. Sono passati diversi anni da allora e la differenza maggiore è che siamo noi stessi ad essere più consapevoli di tutto. Anche della nostra vita e questo si riflette nella complessità dell’album».

DISCO interamente prodotto dal music maker israeliano Itamar Ziegler con l’eccezione di Overdose, affidata a Brian Eno: «È una canzone che parla d’amor proprio, di autostima e dell’esigenza di prendere del tempo per se stessi. Sai, siamo davvero in overdose con le cose, con le persone. Se volessimo avere un giorno ’offline’, con gli smartphone di oggi, non sarebbe possibile. Non si è mai soli, c’è sempre qualcuno che ti osserva. Abbiamo avuto la fortuna di inciderla con una leggenda come Eno: ci siamo seduti, ne abbiamo parlato assieme e subito dopo, via in sala di registrazione. Nonostante non conosca la lingua, ne ha completamente percepito l’aspetto musicale». Le liriche trascinano l’intero album, che trasuda forti messaggi sociali e politici. Tra un beat e l’altro, si impone l’apporto artistico in fase di redazione dei testi della Daw, vera e propria frontwoman. Si ascolti in tal senso Jasadik-Hom, la canzone che chiude il disco, dove la cantante incanta con uno spoken word ispirato dal libro Tra Me E Il Mondo dello scrittore afroamericano Ta-Nehisi Coates.