Una provocazione. Per la Confederazione dei sindacati europei è l’unica chiave di lettura possibile della proposta di Olli Rehn di ridurre i salari del 10% per rilanciare la crescita. L’ineffabile vicepresidente della Commissione europea non è nuovo a sortite del genere. Ma nonostante la delega agli affari economici e monetari che ne fa un uomo forte di Bruxelles, l’idea di comprimere ulteriormente gli stipendi è in aperta controtendenza con le analisi di centri studi ed economisti, non soltanto eterodossi.

Nel vecchio continente continuano a farsi sentire gli effetti deleteri delle politiche di cieca austerity imposte dalla Ue. Eppure Rehn rilancia, consigliando al governo conservatore spagnolo una strategia di erosione salariale, e osservando che politiche analoghe hanno permesso all’Irlanda e alla Lettonia di superare efficacemente il periodo di crisi. Nonostante la proverbiale cautela, la Ces si sente punta sul vivo. Tanto da rispondere a Rehn con una lettera aperta, firmata dalla segretaria generale: “Aggrapparsi all’austerità e alla riduzione dei salari non è la risposta giusta – scrive Bernadette Sègol – quanto alla Lettonia e l’Irlanda, che hanno perduto rispettivamente il 20% ed il 15% dell’insieme della loro forza lavoro, possono difficilmente passare per esempi. L’unica lezione da imparare dalla Lettonia è che l’azione prioritaria è stata quella di rilanciare la crescita”.

L’uscita di Olli Rehn è una entrata a gamba tesa verso la Ces. Appena trenta giorni fa i sindacati europei avevano reso noti i risultati di un lavoro dell’Etui, il Centro di studio e ricerca della Confederazione. Dalla mappatura delle dinamiche salariali nell’Ue tra il 2000 e il 2012, erano emersi risultati che hanno sancito il drammatico impatto delle politiche di austerità sugli stipendi dei lavoratori europei. Più in dettaglio, in Italia i salari reali sono calati di circa lo 0,6% dal 2009 al 2012. Mentre gli effetti dell’austerity sono stati pagati ancor di più dai greci (buste paga decurtate del 4,9% in tre anni), dai lituani (-4%) e dagli ungheresi (-3,2%). “Sono 28,2 milioni le persone a rischio esclusione sociale e povertà nell’Ue”, ha inoltre segnalato lo studio dell’Etui. Di fronte al quale Bernadette Sègol aveva osservato: “Tutte le tendenze mostrano che le politiche di austerità hanno provocato l’esplosione della disoccupazione. E questo rapporto dimostra che, nella maggior parte dei paesi in cui la disoccupazione è in aumento, i salari sono in calo”.

Così la Ces aveva messo il dito nella piaga: “I salari sono il bersaglio principale delle misure di austerità in tutta Europa. Sono diventati lo strumento chiave o un meccanismo di aggiustamento con una politica di svalutazione interna. Ma questa tendenza non ha risolto i problemi di competitività, in particolare nei paesi soggetti a regimi di salvataggio finanziario. Al contrario, ha aggravato problemi esistenti, con effetti soprattutto sui più deboli”. Così, di fronte alla provocazione di Olli Rehn, Sègol rilancia a sua volta: “L’Europa deve rinviare l’applicazione del limite del 3% di deficit finché le economie nazionali non si saranno riprese, probabilmente fino al 2016-2017”. Mentre la corsa verso il basso dei salari, “provocata in molti stati membri della concorrenza salariale incoraggiata dalla Commissione”, è una concausa della caduta, evidente, dei consumi. “Come avevamo previsto – chiude la segretaria generale dei sindacati europei – l’austerità non funziona. E noi siamo favorevoli a politiche che stimolano l’attività, accompagnate da salari e pensioni che sostengano i consumi”.