A Bergamo ieri pomeriggio è arrivata sotto alla sede cittadina della Regione Lombardia la protesta di centri sociali, sindacati di base, sindacati inquilini, associazioni che chiedono verità e giustizia per le vittime da Covid. Con loro circa 500 persone che in questi tre mesi hanno visto e vissuto in prima persona la strage avvenuta nella provincia di Bergamo, quella sequenza di fatti che ora i magistrati stanno rimettendo in ordine nell’indagine per epidemia colposa. «Le colpe sono all’interno di una una catena di eventi cominciata con la mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo, seguita dagli errori nella gestione delle Rsa e la mancata zona rossa» dice Adil Beddari del centro sociale Pacì Paciana e del Comitato Verità e Giustizia per le vittima da Covid. «Senza dimenticare l’intervento di Confindustria che aveva dichiarato pubblicamente che le fabbriche non dovevano chiudere e la Regione ha eseguito».

Il timore dei partecipanti a questa protesta è che l’indagine sulla zona rossa diventi una bolla mediatica. «Sulla zona rossa ormai è scontro politico fra Regione e Governo, ma per noi sono colpevoli entrambi» dice Roberto Fugazzi, sempre del Comitato Verità e Giustizia. «A noi interessa capire chi ha determinato la riapertura dell’ospedale di Alzano il 23 febbraio innescando i contagi» dice.

Nei quindici giorni seguenti, raccontano le voci di chi è sceso in piazza, si è discusso più di come non fermare il lavoro che di zona rossa. «A fine febbraio e inizio marzo lavoravamo tutti e dal sindaco Gori a Confindustria arrivava il messaggio di non fermarsi» dice ancora Adil.

Lo spot di Confindustria «Bergamo is running» è del 28 febbraio, lo stesso giorno in cui il primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo Marco Rizzi denunciava l’esistenza di un focolaio all’ospedale di Alzano. Fiorangela lavora all’ospedale di Seriate, anche lei attiva nei sindacati di base. «Prima ancora della mancata zona rossa noi operatori sanitari abbiamo visto con i nostri occhi l’impreparazione del sistema sanitario. Non c’era alcun piano d’emergenza per la pandemia. Ci siamo trovati a dover capire da soli che arrivavano nei reparti persone malate e decidere noi cosa fare, dove metterle, come isolarle». Racconta ancora Fiorangela: «Abbiamo subito esaurito i dispositivi di protezione individuale ed erano insufficienti gli strumenti per la respirazione». Anche le informazioni scarseggiavano, dice la lavoratrice. «Noi dal 23 febbraio in poi abbiamo saputo della situazione dell’ospedale di Alzano in modo informale, tramite colleghi e amici. Dall’azienda sanitaria bergamasca non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali in quei giorni. Eravamo allarmati, ma le prime indicazioni ufficiali sono arrivate dopo parecchi giorni».

Fiorangela ha seguito per il sindacato Sgb Cub anche quanto successo in alcune Rsa della zona. «Il primo esposto lo abbiamo fatto contro una delle più grandi Rsa della bergamasca che ospita circa 500 persone dopo l’approvazione della delibera regionale dell’8 marzo, quella che ha portato malati Covid dagli ospedali alle strutture per anziani» racconta. «Volevano accogliere 40 pazienti Covid pagati 150 euro al giorno e abbiamo fatto subito un’interrogazione per chiedere di rivedere la decisione, ma non c’è stato nulla da fare».