Nel panorama letterario ci si rivolge ai poeti come a creature sperse, assai fragili, avventurieri della parola che hanno perso l’orientamento in un mondo dove lo spettacolo ha dapprima affiancato e poi sostituito la cultura. Nonostante questo macroscopico movimento che ha cambiato dal di dentro le ragioni stesse dello scrivere e del pubblicare, la generazione di poeti di cui faccio parte offre al potenziale lettore un’ampia scelta di voci, stili, lingue e modalità di consumo; ci sono i poeti che scrivono e ci sono i poeti che performano, ci sono i poeti che musicano e ci sono i poeti che esibiscono. Già le generazioni precedenti, a inizio Novecento, con l’adozione del verso libero come passo minimo, come respiro basilare, si erano interrogate e cimentate in forme spurie o stratiformi, come è avvenuto in quella vasta geologia che sono stati i Cantos di Ezra Pound, composti nell’arco di oltre quattro decenni, o i magnifici poemi a libri, quali Paterson di William Carlos Williams, Canto general di Pablo Neruda, Omeros di Derek Walcott, Freddy Neptune di Les Murray e i nostri poemi contemporanei, come La ragazza Carla di Elio Pagliarani.

La poesia ha indagato sulla propria genesi e spesso ha allungato lo sguardo alle antichità, addirittura alla nascita stessa della specie. Ed è da questo “anello mancante” fra un passato che non aveva urgenza di capirsi e la nostra costante insicurezza odierna, che i poeti della giovane Europa, ma anche della Giovane Asia o degli Stati Uniti, si muovono, cercando d’innervare le ore della scrittura quotidiana di intimità familiare, del rapporto con le figure presenti o mancanti, scomparse o ingombranti, dei padri e delle madri; estrapolando elementi e nozioni appartenenti alle scienze esatte, l’antropologia, la chimica, l’astronomia, la zoologia e l’immancabile biologia: i corpi, il sangue, le ossa, i dettagli più fisici. Si può forse dire che andando alla ricerca di una spontaneità, di una sottigliezza espressiva e linguistica, i poeti delle ultime ondate provino a ricalibrare il senso del poetare, oggi che in molti si sentono in scacco, rispetto ai fenomeni come Saviano, un coetaneo, alle esigenze dei media, della televisione – troppo rapida, troppo superficiale, troppo immediata – ma anche dei risicati spazi sulla carta stampata. I blog letterari certo sono oasi ma si ha l’impressione, per chi non ne fa parte, che finiscono per coltivare antologie consolatorie, per quanto preziose.

Una dimostrazione dell’indagine del poeta dei nostri giorni l’ha incontriamo nella raccolta Dall’interno della specie (Einaudi) di Andrea De Alberti (Pavia, 1974). 49 ceselli nei quali ci mimetizziamo nei primati (Gorilla), scansiamo la polvere dai resti di ossa antichissime (Sediba), apriamo le porte delle camere dove riposano i nostri cari (Non lasciate i figli a casa), giochiamo con la botanica e l’arte (La donna scimmia e Un tranquillo week end), incontriamo l’immagine di una divinità moderna (Jessica Lange), o ci dispiacciamo di non ricevere missive dai ghiacciai delle montagne (Dal monte Bianco, forse la mia preferita). Non pare un caso, al poeta, che nello stesso anno della sua nascita venga scoperto il fossile di un australopiteco di tre milioni di anni addietro (Lucy): d’altronde l’uomo rincorre la storia che si ritrova scolpita, disegnata, scritta nel suo stesso sguardo.