Tre ore di serrata discussione e il Comitato interministeriale per gli affari europei licenzia le linee guida del Recovery Plan italiano. Dibattito serrato ma alla fine pieno accordo, assicurano tutti. Ora si tratta di convincere il parlamento ma anche lì, a meno che non finisca sul piatto anche il Mes, la sceneggiatura appare già scritta.

«Ci siamo già portati molto avanti», giubila il premier e Buffagni conferma che il pacchetto arriverà a Bruxelles il 15 ottobre, primo giorno utile. Quello che verrà inviato non sarà il Piano di rilancio. Sarà appena una ricognizione a tutto campo, decorata con progetti ripresi dal passato e in alcuni casi, pare, addirittura già bocciati dalla commissione. La messa in scena serve a fornirsi di un appiglio per chiedere quell’anticipo del 10% nel quale il governo non ha smesso di sperare. «Il termine per presentare i progetti sui quali chiedere l’anticipo del 10% è stato prorogato al 31 dicembre e questo ci permette di avere più tempo nelle interlocuzioni», spiega alla Camera il ministro per lo Sviluppo Patuanelli.

Quel totale sul quale chiedere un anticipo, stando alle cifre illustrate ieri mattina, differisce da quanto annunciato nei mesi scorsi. Saranno 191,4 miliardi, meno del previsto ma pur sempre una cifra da capogiro. Le spine acuminate arrivano con la ripartizione. Solo 63,7 miliardi saranno assegnati all’Italia come «sussidi a fondo perduto». I rimanenti 123,6 saranno invece prestiti e si tratta di una proporzione tra grants e loans inversa rispetto alle attese di giugno. Saranno certamente prestiti a condizioni di vantaggio, ma pur sempre prestiti. L’aspetto più preoccupante però è che la torsione a sfavore dell’Italia del Recovery Fund e i continui avvertimenti sull’impossibilità di ottenere quei fondi in anticipo, comunque non prima del giugno-luglio 2021, lasciano immaginare che la Commissione, ma soprattutto il Consiglio composto dai capi degli stati membri, saranno di manica meno larga di quanto il governo sperasse e speri. Proprio ieri, del resto, l’ungherese Orbàn ha minacciato di bloccare con il suo veto il varo del Recovery Fund. E’ solo un mercanteggiamento finalizzato a mantenere inalterati i fondi che dalla Ue arrivano ogni anno all’Ungheria ma chiarisce quanto delicata e piena di insidie sarà la trattativa in sede di Consiglio.

Il 70% le risorse dovrà essere investito nel biennio 2021-2022 e il restante 30% nel 2023. In questo caso, però, le dimensioni del sussidio a fondo perduto potrebbero variare a seconda dello stato del Pil nel biennio precedente. Dunque bisogna fare in fretta e la prima riforma sulla quale il governo intende premere l’acceleratore è quella fiscale, con un taglio del cuneo avviato già quest’anno tramite legge delega. Proprio quello sarà però il primo banco di prova per verificare la duttilità e la disponibilità dell’Europa. Sin qui, infatti, Bruxelles ha sempre negato la possibilità di usare il Recovery per tagliare le tasse.

Il convitato di pietra che nessuno nomina nell’allestire la strategia dei prossimi mesi resta il Mes. Il quadro rende sempre meno evitabile il ricorso a quel prestito di 37 miliardi. Alla Festa dell’Unità di martedì sera Conte, come d’abitudine, ha trovato modo di non sbilanciarsi ma ieri, per la prima volta, lo ha fatto Gualtieri: «Per noi il Mes è importante». A modo suo apre uno spiraglio, pur se strettissimo, anche Di Maio: «Si procede un passo alla volta e per il momento pensiamo al Recovery Fund». Solo che il Recovery, al netto del possibile anticipo che comunque non arriverebbe prima della prossima primavera, è in realtà un «secondo passo» a fronte dell’urgenza in cui si trova l’Italia e in fondo è la prima volta che il ministro degli Esteri si lascia scappare un «per ora».

Di certo i 5S non possono mollare di un centimetro prima delle elezioni del 20 settembre. La scelta diventerà reale solo a urne chiuse. «Faranno come sul Tap e sulla Tav: accetteranno il Mes dopo il 21 settembre» profetizza Renzi. Ma anche in quel caso resterebbe l’incognita sul comportamento dei parlamentari, soprattutto al Senato. Un Mes approvato solo grazie al voto determinante dell’opposizione non sarebbe il miglior viatico per il Recovery italiano.