Che i romanzi centrati su personaggi femminili siano quasi sempre romanzi d’amore è un dato innegabile. Ma, come si sa, al di là delle eterne banalità dell’inestinguibile filone rosa, il tema può prendere le declinazioni più varie: dalle Lettere di una monaca portoghese attribuite a Guilleragues fino a Passione semplice di Annie Ernaux, passando per Jane Eyre o Anna Karenina, sono pressoché infiniti gli esempi che possono dimostrarlo. E lo prova, a volte, anche la produzione di alcuni autori, in questo caso i libri più importanti della scrittrice belga Madeleine Bourdouxhe: quello che nel 1937 le dà la fama, La donna di Gilles (riproposto da Adelphi nel 2005), e il successivo, À la recherche de Marie, che, comparso nel 1943, sarebbe rimasto il suo ultimo romanzo edito, e viene ora tradotto da Graziella Cillario per Adelphi, con il titolo Marie aspetta Marie (pp. 145, euro 16,00, con una nota di Faith Evans). Sono libri che ruotano entrambi intorno a giovani mogli casalinghe, che narrano entrambi vicende sentimentali, e nondimeno, risultano diversissimi.

Desideri insospettati
Ambientato in un villaggio belga, La donna di Gilles racconta la drammatica, centripeta storia di una donna che si annulla nell’amore. Mentre Marie aspetta Marie, che spazia da Parigi ad altre località francesi, racconta la storia sinuosa e aperta di una donna che trae dall’amore nuove motivazioni alla vita: la Marie eponima, trentenne rinchiusa nella «realtà addomesticata» di una serafica felicità coniugale, stringe improvvisamente con uno studente ventenne una relazione che la spinge alla riscoperta delle proprie potenzialità, a un ricongiungimento con la ragazza che era, avida lettrice di Nietzsche, traboccante desideri indefiniti.

È una scoperta distillata nella normalità quotidiana: l’esistenza di Marie non deraglia dai suoi binari; il romanzo, anziché congegnare eventi di rilievo, investe di senso la routine, restituendo – attraverso uno stile essenziale e un continuo avvicendamento dei tempi verbali – le sovrapposizioni instabili tra impressioni e ricordi; come fanno le opere più celebri del primo Novecento, ma a un altro livello. Diversamente da quanto scrive nella sua nota Faith Evans, in Marie aspetta Marie non si scorgono vere affinità con la Recherche proustiana (al di là dell’omaggio sotteso forse al titolo originale), perché la memoria della protagonista rimane consapevole, evoca immagini del passato nitide, non insegue le scomposizioni del tempo e della soggettività; e le sue sensazioni e riflessioni delineano una personalità coerente e controllata, senza tradursi, come i monologhi interiori e i flussi di coscienza di Woolf e Joyce, in uno scavo nelle stratificazioni e ambiguità dell’io.

Il libro va in un’altra direzione: azzarda la sfida di modellare una figura non problematica, quasi una versione femminile dell’uomo di Montale «agli altri ed a se stesso amico»; in parte paragonabile alla Clarissa Dalloway di Woolf, Marie però è più giovane e solare, non alle prese con le ombre di dubbi irrisolti, interamente «dalla parte della vita», come rivendica nel confrontarsi con la fragile sorella Claude.
Una vitalità che riversa non solo nell’eros, ma in tutta la sfera dei sensi, nell’urgenza dei piccoli bisogni, nell’assaporamento dei piccoli piaceri, nel desiderio acuto di una sigaretta in un momento di ansia o di un pasto robusto in un momento sereno, nel gusto di passeggiare senza meta e socializzare con gli sconosciuti; una vitalità che però resta intrisa di inquietudine, annaspa tra incertezze diverse.
Innanzitutto, le incertezze delle passioni. Se non attende più emozioni dal marito, Marie si sente unita a lui da un affetto fatto anche di intimità fisica; non sa quanto durerà il suo trasporto per l’amante, perché «nell’amore non ci sono né perfezione né eternità prestabilite»: immersa nel divenire dei sentimenti, trova l’unico punto fermo nell’attaccamento per la «miriade di esseri, di cose, di gesti, di paesaggi», che compongono «il grande volto del mondo».

Un mondo in cui però non ha un vero posto: la sua storia illustra incertezze della condizione femminile destinate a perdurare ancora. Marie adempie con facilità le incombenze casalinghe: «senza la minima esitazione, il minimo moto di repulsione, le sue mani affrontano i fornelli o si immergono nella saponata, liberano il ferro dalla ruggine e lo lubrificano, passano la cera sui pavimenti». Ma questo brano, che Simone de Beauvoir cita nel Secondo sesso come esempio di un ideale di realizzazione domestica così a lungo imposto da venire introiettato, indica in effetti la relazione armonica del personaggio con la vita, non una sua totale dedizione al ruolo di massaia: Marie avverte nostalgia per gli studi della giovinezza, per le ambizioni intellettuali a cui ha abdicato troppo presto. Non trova però il modo di esprimerle: quando – in una scena che mostra le radici remote dei problemi ora tanto dibattuti – un conoscente la convoca in uno studio in penombra già predisposto per un incontro amoroso, con il pretesto di offrirle una rubrica filosofica per una rivista femminile, lei si sente umiliata, più che dai secondi fini della proposta, dal suo contenuto, dalla mentalità che consente alle donne solo una cultura semplificata e divulgativa; e afferma che, mentre avrebbe accettato sia di scrivere un articolo serio sia di sfornare ricette di cucina, si rifiuta di «prendere due cucchiai di Spinoza, uno di Platone, tre grammi di Bergson» e di condirli «con una salsa facile da digerire».

La minaccia della guerra
Infine, seppur ellitticamente, il romanzo colloca la trama in una situazione di incertezza più vasta: quella di un mondo in cui «a sud si combatte, a est si litiga», «certi popoli si buttano nel fascismo», per la strada passa «un giovane soldato che non aspira a nessuna vittoria», in un’apparente atmosfera di spensieratezza già si profila la minaccia della seconda guerra mondiale.
Le incertezze non si sciolgono: l’intreccio resta in sospeso. E in sospeso resta anche la riuscita del romanzo; che tratteggia troppo fugacemente le sue figure e abbozza troppo sommariamente i suoi spunti, che si discosta dai modelli più scontati, senza però svilupparne a fondo un altro. Forse perché la percezione del cataclisma imminente finisce per sottrarre slancio all’inventiva; o forse perché la scommessa di rappresentare un personaggio in piena sintonia con la vita rimane per la letteratura una delle più impervie.