Sono iniziati gli Stati Generali dell’Economia e il Presidente del Consiglio ha ribadito che «puntiamo su modernizzazione, green e inclusione», un buon viatico, almeno a parole. Non sappiamo chi parlerà di «green» e rappresenterà questi temi a Villa Pamphili, ma sappiamo bene che sul tema dell’economia verde c’è molta poca chiarezza. Cosa è necessario fare per disegnare la base produttiva di un futuro verde? Partiamo da una considerazione che viene dai dati della rete elettrica italiana durante l’emergenza coronavirus.

La caduta dei consumi legata alla quarantena collettiva e al blocco di molte attività produttive è stata di fatto uno «stress» test per la rete elettrica rispetto al volume percentuale delle fonti rinnovabili. Come infatti rileva l’analisi del Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), in alcune giornate di aprile si è verificato un calo molto marcato – di oltre un terzo – della richiesta di potenza in rete e, di conseguenza, un contributo relativo molto più alto del normale delle fonti rinnovabili (che hanno priorità di dispacciamento) di quasi il 48%, con una componente maggioritaria (oltre il 30%) di rinnovabili «intermittenti» come il solare e l’eolico. E questo è stato ben assorbito dalla rete elettrica. La revisione degli obiettivi europei della riduzione delle emissioni di CO2 ci porterà a dover innalzare gli obiettivi e, dunque, una prima infrastruttura «verde» da considerare è proprio la rete elettrica per poter gestire quote di rinnovabili elettriche dell’ordine del 70% nel 2030.

Dunque, avendo una buona base, ce la possiamo fare. Ma bisogna investire da subito per esser pronti nel 2030. Una seconda notizia interessante è l’annuncio di un parco eolico offshore al largo di Rimini: si tratta di un parco da circa 300 MW di tipo convenzionale (su palificazioni) mentre in altri Paesi sono in corso iniziative per l’eolico galleggiante. Se queste iniziative avranno successo avremo un’altra arma per combattere il cambiamento del clima perché, una volta superati i limiti della profondità dei fondali, l’eolico galleggiante consentirebbe di accedere a scala globale a un potenziale energetico elevatissimo. Alcune imprese italiane sono già impegnate in progetti del genere e in Francia è stata avviata la prima gara per impianti di grande potenza. Ecco un secondo esempio di industria «verde» che può rappresentare, con le altre rinnovabili, la base energetica di un futuro prossimo.

Un altro tema è quello dell’idrogeno «verde», cioè prodotto da fonti rinnovabili (e non da gas, che rilascia CO2). In Germania la cooperativa energetica promossa da Greenpeace già da qualche anno ha delle pale eoliche che, nelle ore di eccesso di produzione, si staccano dalla rete e producono idrogeno che immettono nella rete gas. E un’altra iniziativa di rilievo è quella di impianti che convertono l’elettricità in eccesso in idrogeno e poi in carburante liquido «catturando» il vapore e la CO2 direttamente dall’aria (Dac: Direct Air Capture). In una prospettiva più lunga, specie laddove l’elettricità da solare costerà di meno (ma già oggi in certi Paesi è sotto i 20€/MWh), questa tecnologia potrà produrre idrogeno, metano di sintesi e carburanti rinnovabili che «riusano» la CO2 già presente in aria.

Infine, per suggerire un altro filone di investimenti per l’economia «verde», quello di batterie e accumuli per la rete elettrica e per i veicoli. Qui c’è una sinergia strategica tra il settore elettrico e la produzione di veicoli elettrici, un elemento essenziale per combattere la crisi climatica. Come si vede non mancano esempi per tradurre in iniziative industriali quella parolina – «green» – cui molti reagiscono con ignorante scetticismo.