Giovane scuola di Roma, Figurazione «novissima», Scuola di Piazza del Popolo, sono alcune delle definizioni attribuite alla ricerca artistica romana degli anni sessanta legata a La Tartaruga, galleria fondata da Plinio De Martiis nel 1954 in via del Babuino e trasferitasi nel 1963 in Piazza del Popolo. Franco Angeli, Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Renato Mambor, Mario Schifano, Cesare Tacchi ne sono i principali esponenti, uniti dalla volontà di superare in pittura l’espressione informale dell’io per restituire la realtà esterna oggettivandola. Sovente considerati affini agli American Pop Artists, se ne discostano soprattutto per il forte intervento manuale e non meccanico sulla tela, e per la scelta di lavorare su stereotipi culturali anziché su oggetti-merce.

L’occasione, una mostra a Londra

Esemplare dell’originalità di questa «scuola» rispetto alla Pop statunitense è Franco Angeli (Roma, 1935-1988), a cui la Galleria Ronchini di Londra ha dedicato dal 4 ottobre al 18 novembre una mostra a trent’anni dalla sua scomparsa. L’esposizione, includendo opere del decennio Sessanta provenienti da importanti collezioni europee, ha fornito l’occasione per approfondire la produzione di quel periodo mediante la pubblicazione di una monografia curata da Luca Massimo Barbero, con testi del curatore e di Laura Cherubini, e edita da Marsilio (pp. 272, euro 45,00).

Si tratta della prima ampia monografia sull’argomento che, nelle tre sezioni di cui si costituisce (testi critici, opere, apparati), riesce a ricostruire con precisione, intelligenza e sensibilità, il percorso artistico di Angeli dai suoi inizi fino al 1969. In particolare sono i due testi critici a guidarci nella conoscenza del suo lavoro, portandone in luce da un lato lo sviluppo tecnico, iconografico e concettuale (Barbero), dall’altro il fondamentale legame con il contesto storico-artistico coevo (Cherubini).
Barbero focalizza l’attenzione sulle opere nodali e sulla valenza attribuita dall’artista ai materiali utilizzati, spesso connessa a esperienze di vita vissuta. È il dolore per la precoce morte della madre e il trauma dell’aver assistito al bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo a indurlo ad adoperare il colore rosso, metafora del sangue, quando nel 1957 inizia a dipingere, ma anche le garze, evocanti le bende dei feriti, l’anno dopo. È invece il respirare l’ «aria» di Roma, città intrinsecamente legata alla materia (si pensi ai Sacchi di Burri o ai Rilievi di Colla), a spingerlo a utilizzare i materiali trasformandoli in immagine pulsante e stratificata, in sguardo partecipe verso la condizione umana (Ferita, 1958).

Rispetto a questi inizi materici, Barbero sottolinea poi i momenti di svolta. Già nel 1958, attraverso una pittura di cromie umbratili e di grigi profondi, Angeli si avvicina alle riflessioni milanesi sul monocromo (Disumano, 1959), rendendole personali grazie a un uso evocativo della materia: da qui la valenza metaforica delle calze di nylon strappate, tirate sulla tela e allusive alle lacerazioni vissute durante la Guerra (Immagini negative, 1959).

Tra la prima mostra personale nel 1960 alla Galleria La Salita di Roma e la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1964, si fa invece più evidente l’attenzione all’attuale situazione socio-politica, derivata anche dalla vicinanza al Pci: sulla tela la garza, le calze di nylon e il velatino, filtrano, allontanano ed esorcizzano immagini allusive al contesto politico internazionale (Algeria, 1961) e ai governi basati sulla prevaricazione, evocati attraverso i simboli retorici della Lupa (Lupa di Roma, 1962-’63), della svastica (Killer, 1962), del fascio littorio (La Bestia, 1963), del dollaro e dell’aquila americana (Quarter Dollar, 1964).

Ulteriore momento nodale, sottolinea Barbero, è il 1967-’68 quando la pittura di Angeli, ancor più impegnata e ideologica, giunge a riprodurre in modo quasi illustrativo immagini relative alla cronaca, dai cortei del Dopoguerra alle proteste studentesche (Università Americana, 1967).

Ma durante gli anni sessanta, che si concludono con il ripiegamento nella dimensione intima sottesa da La stanza delle ideologie (1969), accanto alle sue opere, rilievante è il contesto della città di Roma a cui egli è fortemente legato. È su questo aspetto che focalizza l’attenzione Laura Cherubini. Dopo aver rivelato l’atavico e premonitore legame di Angeli con Piazza del Popolo (quando non aveva casa a volte dormiva nella bocca di un delfino delle fontane laterali della piazza), ricorda i rapporti e le collaborazioni con intellettuali e artisti: nel 1960 assieme a Lo Savio, Schifano, Uncini, Festa propone al gallerista de La Tartaruga una loro collettiva (poi invece realizzata a La Salita nello stesso anno); nel 1961 si lascia firmare La Scarpa destra da Manzoni; nel 1966 realizza con Jack Kerouac Deposizione, mentre nel 1968 dedica ad amici artisti, al fratello Otello e ad altri compagni di strada Nove oggetti della memoria. Tali rapporti sono possibili grazie a una vita condivisa che ha come centro Piazza del Popolo, tra La Tartaruga e il sottostante Caffè Rosati. Cherubini ben sottolinea l’importanza di questo stare assieme, così come ben delinea il ritratto del titolare de La Tartaruga e mentore della Scuola di Piazza del Popolo, prima di approfondire i rapporti di Angeli con le ricerche sul monocromo, con le gallerie e i critici del tempo.

Il verso della tela, un «diario»

L’incidenza del contesto nel suo lavoro è ribadita dalla seconda sezione della monografia che, oltre a documentare i dipinti realizzati dal 1957 al 1969 e fotografie di quel periodo, include riproduzioni di opere di altri autori e copertine di volumi importanti per la sua produzione. Vengono inoltre pubblicati i retri di alcuni suoi dipinti per dimostrare, come scrive Barbero, «il suo concepire il verso della tela come una sorta di diario di un’immagine celata o solo parzialmente rivelata sul fronte». Altrettanto interessante è la pubblicazione di alcune fotografie utilizzate quali fonti iconografiche: si scopre così, ad esempio, che Berlino (1968) deriva dallo scatto di Evgenij Chaldej raffigurante la bandiera rossa sul Reichsatg il 2 maggio 1945.

A questo corpus di immagini seguono gli apparati a cura di Chiara Mari che, oltre alla biografia redatta da Sibilla Panerai, all’elenco delle mostre, alla bibliografia e filmografia, includono un’antologia di testi critici, interviste e scritti dell’artista. Tra gli scritti spicca Atto di fede (1984): basato sulla ripetizione del monito contro la società dei consumi «Non dimenticare».

Non dimenticare è anche l’obiettivo che l’Archivio Franco Angeli persegue conservando i materiali sul suo lavoro e promuovendone la conoscenza: fondato a Roma nell’ottobre 2009 dalla figlia Maria, è stato indispensabile per la realizzazione della monografia curata da Barbero. Simili progetti editoriali offrono pertanto l’occasione di riflettere sull’importanza di investire energie, fondi e attenzione sugli archivi degli artisti affinché possano essere aperti alla consultazione degli studiosi e provvedere, in base a criteri internazionalmente condivisi, alla conservazione, all’archiviazione, al rilascio di autentiche, alla catalogazione ragionata, alla promozione di mostre e pubblicazioni. Tra l’altro queste attività possono anche facilitare la crescita del valore di mercato del lavoro di un autore; un aspetto dell’arte contemporanea oggi sempre più rilevante. Ma è soprattutto la tutela dei materiali d’archivio a essere basilare al fine di non cancellare quella che Derrida ha definito, in Mal d’archive (1995), «l’impazienza assoluta della memoria». Insomma, con Franco Angeli, «non dimenticare».