Poeta e narratore nigeriano, con un’infanzia trascorsa a Londra, l’esperienza diretta della guerra civile in patria e il ritorno in Inghilterra per fuggire una condanna a morte causatagli da alcuni scritti giovanili, Ben Okri ha conquistato un pubblico internazionale e vinto il Booker Prize nel 1991 con La via della fame (che ha per protagonista un bambino-spirito in una Nigeria devastata dagli orrori della guerra e non solo), affermandosi per il suo immaginario potente e una narrazione fuori dalla storia, ma appunto per questo prepotentemente al suo centro (come recentemente ribadito dallo scritto di impronta fortemente filosofica La Libertà (edito da La nave di Teseo nel 2019).

NON STUPISCE DUNQUE che nella nuova raccolta Preghiera per i viventi (La nave di Teseo, collana «Oceani», pp. 320, euro 19, traduzione di Elena Malanga) diversi piani di realtà si mescolino tra loro, in bilico tra sogno e illusione, realtà e finzione, in una serie di storie apparentemente sconnesse e distanti nel tempo e nello spazio, ma che esemplificano fedelmente tre decenni di prolifica produzione e una profonda riflessione sul genere umano, sul destino dell’umanità stessa e sulle potenzialità della scrittura. Per chi è alla ricerca di generi e definizioni, varrà quindi ancora una volta l’accostamento al realismo magico di Garcia Marquez o al postmodernismo e postcolonialismo che già gli hanno meritato più di un paragone con Salman Rushdie, fino all’esistenzialismo e alla sperimentazione di forme e generi letterari diversi (che portano ad esempio il poeta del racconto «Una strada» a passare dall’epopea all’haiku e ritorno).

Irriverenti, incredibili, destabilizzanti, a tratti raccapriccianti e sconvolgenti, le storie che Okri narra in questi ventitré racconti si spostano da Londra, a Bisanzio (ricreata in sogno tra le nebbie di un caffè lungo il Tamigi, ma per questo più reale e tangibile della città vera).

DALLE ANDE ALLE FORESTE del nord della Nigeria infestate da Boko Haram, fino alla bottega di un tipografo in Spagna, affrontano tematiche universali come amore e morte, verità e giustizia, vita e arte, riproponendo sulla pagina percezioni e punti di vista molteplici, così come lo sono i modi per esprimerli, ma al tempo stesso un’incrollabile fiducia nel potere della parola.
Non solo lo scrittore è in grado di creare mondi, sostiene Okri, ma lo è anche il lettore, come espresso in «Don Ki-Otah e l’ambiguità della lettura», dove un Don Chisciotte africano con spirito irrequieto e immaginazione sconfinata, «enciclopedia ambulante di assurdità e meraviglie», afferma di leggere per «estrarre l’anima del concetto» e attribuisce alla tradizione orale un ruolo di inesauribile ispirazione.

In una carriera di lettore durata cinquant’anni, Don Ki-Otah ha «sperimentato trecentoventidue modalità di lettura, letto nella modalità rapida del giovane brillante e stolto, in quella acida dell’insegnante, in quella petulante dell’erudito, in quella nostalgica del viaggiatore e in quella puntigliosa dell’avvocato, nella modalità selettiva del politico, in quella comparativa del critico, in quella sprezzante del tiranno, in quella fugace del giornalista, in quella competitiva dello scrittore e in quella indefessa dell’aristocratico», imparando che un libro letto in modo nuovo diventa un libro nuovo, e sostenendo che uno dei problemi del mondo è che l’arte della lettura è quasi morta, mentre a suo dire «la lettura è il segreto della vita» e «il mondo è come tu lo leggi». Che sia questa dunque la preghiera per i viventi nascosta tra le righe?