“Per vincere questa corsa bisogna rischiare di perderla”, ha sentenziato Martinelli, uno che di grandi giri vinti in ammiraglia se ne intende. Non la pensa così Roglic, e più che dirlo lo ha fatto capire con la condotta in corsa. Nibali nostro non deve aver gradito, se venerdì, mentre i due fendevano due muri di neve, e l’aria si faceva rarefatta, ha trovato il fiato per sfidarlo a voce alta: “Non si vince così il Giro, se vuoi una foto ti invito a casa mia e ti faccio vedere la bacheca dei trofei: non ho nulla da dimostrare io”. Parole fuori dalle righe, in un gruppo funestato dal fair-play, variante del politicamente corretto nello sport.

In sala stampa, dove di solito ci si rimpinza e si sbadiglia, un po’ di pepe si è diffuso, la tappa di oggi è chiamata a spanderlo anche in corsa. Da Saint Vincent a Courmayeur il percorso è breve, 131 km, ma solo 14 di pianura, il resto è un ottovolante, tre colli ed il San Carlo a duemila metri prima della picchiata e la rampetta finale tra le strade cittadine. Qua da qualche parte è nato il nonno di tutti i corridori in gruppo. Baffi all’insù e fisico minuto da spazzacamino, con la ramazza partì Maurice Garin per emigrare nella Marna. Grandi classiche vinte inconsapevolmente da italiano (Parigi-Rubaix due volte 1897-98), quando trionfò alla prima edizione del Tour de France gli era già stata accordata la nazionalità francese.

Che Martinelli abbia fatto scuola, o che Nibali sia riuscito a innervosire la concorrenza, fatto sta che già sulla prima ascesa, a fronte di un attacco di Yates, Roglic risponde in prima persona, e via via tutti i big iniziano a rincorrersi. Per un attimo, 120 km all’arrivo, ci si trova di fronte ad una corsa antica. Nella vallata poi la scaramuccia si riassorbe e va via la fuga di giornata, tra i soliti masnadieri ed aiutanti in campo dei grandi della generale.

Tutto rimandato all’ultima salita, dunque. Là Nibali apre le danze, può contare sul fido Caruso là davanti. Quattro o cinque allunghi buoni per selezionare un gruppetto composto dai più forti, ma non per andarsene da solo. Roglic è una sfinge, pare giocare al gatto con il topo. Tanto che, scavallato il San Carlo da parte dei migliori, si è avvantaggiato il solo Carapaz. Pochi secondi in fondo alla discesa. In quella, ricomincia la partita a scacchi tra il siciliano e lo sloveno. Il gruppetto dei migliori assiste attonito, e nel frattempo Carapaz ne approfitta. Non solo trionfa a braccia alzate, ma si vesta di rosa, addirittura. Più indietro Nibali e Roglic non se ne sono date, ma, c’è da scommettere, se ne diranno ancora tante.