Non più spinti a fuggire dalla speranza di riuscire a costruirsi un futuro in Europa, ma costretti a farlo dall’impossibilità di poter restare ancora nei Paesi in cui si trovano. In Siria come in uno degli Stati confinanti dove già vivono come profughi.
Gli arrivi in massa che si verificano ormai da molte settimane nelle isole greche sono solo l’ultima conseguenza del conflitto siriano giunto ormai quasi al suo quinto anno. Le migliaia di persone che sbarcano a Kos ma anche a Lesvos, Chios, Samos e Leros, si sono lasciate definitivamente alle spalle il sogno di poter tornare, magari in un giorno lontano, a vivere nelle proprie case. Sono l’ultima ondata di disperati, se si vuole i più tenaci, quelli che hanno resistito fino a quando hanno potuto in uno dei campi profughi allestiti oltre il confine ma che ormai, nonostante la generosità dei Paesi ospitanti, sono sempre più precari. Famiglie spesso composte solo da donne e bambini (perché l’uomo è morto oppure è partito prima nella speranza di trovare all’estero una sistemazione dalla quale poter chiamare moglie e figli) che partono direttamente da una Siria martoriata in cui le speranze di pacificazione sono sempre più labili. Per tutti e su tutti pesa inoltre un altro fattore importante: «Cinque anni di guerra hanno esaurito i risparmi e qualsiasi altra risorsa utilizzata fino a oggi per sopravvivere» spiega Barbara Molinario dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Tentare la sorte in mare è dunque l’ultima possibilità. «I profughi che arrivano in Grecia sono di nazionalità diverse rispetto a coloro che chiedono asilo in Italia», prosegue Molinario. «Ad esempio non ci sono subsahariani, ma sono praticamente tutti siriani, più del 60%, afghani e iracheni. Solo il 12% appartiene a nazionalità diverse. Persone che fuggono da conflitti e che vanno quindi considerati rifugiati, nessun migrante economico. Seguono la rotta più breve, quella che dalla Siria passa per la Turchia e da lì, infine, in Grecia».
Sono più di 4 milioni (4 milioni 13 mila) i siriani oltre confine, alloggiati da anni in campi allestiti in Turchia (1.805.255), Libano (1.172.753), Giordania (629.128), Iraq (251.690) ed Egitto (132.375), ai quali vanno però sommati altri 7,6 milioni di sfollati presenti all’interno del Paese, metà dei quali bambini, difficili da raggiungere, e quindi da assistere, anche per le organizzazioni internazionali. «Si tratta della più grande popolazione di rifugiati proveniente da un unico conflitto in una generazione», ha denunciato un mese fa Antonio Guterres, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati. «Una popolazione che ha bisogno di sostegno dal resto del mondo, ma che invece vive in condizioni terribili e sprofonda nella povertà».
Fino a ieri poteva considerarsi fortunato chi era riuscito a trovare posto in un campo all’estero. Le cose, però, stanno cambiando anche per loro. Più di un mese fa il governo libanese ha deciso, senza fornire nessuna spiegazione, un inaspettato giro di vite nei confronti dei siriani. Esercito e forze di sicurezza sono intervenuti in 95 campi nei pressi del confine siriano sgomberando circa 6.000 profughi in maggioranza donne e bambini. Un intervento durissimo – denuncia sempre l’Onu – che Beirut non ha motivato in alcun modo ma che ha attuato dando un preavviso di appena 48 ore. E che rischia di non essere l’unico. Il risultato è che altre migliaia di disperati non hanno più neanche una tenda nella quale ripararsi e si trovano ora nella situazione di non poter tornare in Siria né di restare in Libano.
Le immagini di questi giorni dimostrano come anche per chi ce la fa a raggiungere la Grecia le difficoltà non siano finite. I profughi arrivano un Paese costretto a fare i conti con la crisi economica e in cui, nonostante gli sforzi, trovare risorse per i migranti rischia di essere davvero l’ultimo dei problemi. Ci sarebbe bisogno di aumentare la capacità di accoglienza per i richiedenti asilo e per i minori non accompagnati che oggi possono contare su soli 1.100 posti. Ma anche di accelerare le procedure per la richiesta di asilo: dall’inizio di giugno fino a oggi solo 6.600 persone hanno infatti potuto farlo.