Una nuova riflessione sul tema dell’immigrazione emerge dal documentario Immagine dal vero di Luciano Accomando, dove cinque donne e sette uomini emigrati in Sicilia dimostrano, attraverso le loro storie di riscatto e successo, l’importanza di valorizzare la specificità di ciascuno e la possibilità di affrontare l’emergenza dei flussi migratori tramite l’apertura, l’integrazione e comprensione dell’altro; un agire che non lascia spazio al pietismo e all’odio. Il film, prodotto dall’Associazione Anteprima e presentato alla 19° edizione del Festival del Cinema Europeo, è un progetto che risponde al bando Giovani per il sociale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

Come nasce l’idea del progetto?

Siamo partiti dalla considerazione che gli immigrati arrivano in Europa per una serie di problematiche: fuggono dalla guerra, dalla fame, da condizioni di vita molto difficili e non possiamo farci nulla. Che cosa deve fare l’Europa? Analizzando la cinematografia di riferimento ti accorgi che solitamente il tema è affrontato con pietismo, quasi a voler convincere le persone ad accettare questa situazione; raramente si parla d’immigrati come risorse. Il nostro progetto partiva anche da una ricerca psicosociale: qual è la causa di pregiudizio? Il pietismo è uno degli elementi che va a innescare il pregiudizio verso gli immigrati. Oppure perché c’è questa bassa autostima, autoefficacia, da parte degli immigrati? Una motivazione è che in molti centri di accoglienza si fa poco o nulla per stimolare queste persone. Partendo dalla Sicilia abbiamo deciso di realizzare questo documentario raccontando per la prima volta le storie di successo, analizzando anche la situazione di convivenza con lo scopo di informare, sensibilizzare gli italiani e gli europei e fornire agli immigrati dei modelli di riferimento cui ispirarsi.

Quanto tempo avete impiegato per realizzare il film?

Tra pre-produzione e post produzione, diciotto mesi. La pre-produzione è stata molto lunga sia per la ricerca, dove un team ha raccolto testimonianze in giro per la Sicilia, sia per entrare in contatto con gli intervistati in modo da costruire un rapporto di fiducia che porti a parlare liberamente davanti a una telecamera. L’obiettivo più importante era quello di entrare realmente in contatto con queste persone e diventare amici, perché la parte più bella e complicata è riuscire a far raccontare loro le difficoltà che li hanno portati al riscatto: abbandonare la famiglia, i propri punti di riferimento, gli amici. Il film non racconta solo immigrazione da barcone, si può abbandonare la propria terra anche per amore o per fare studi diversi.

Quali sono stati i problemi che avete incontrato entrando in contatto con loro?

La diffidenza. Non è solo da parte degli italiani verso gli stranieri perché la domanda alla base è: chi è l’altro? Di volta in volta cambia la prospettiva: gli altri per noi sono i neri, per i neri gli altri sono i bianchi. Spesso ci si ferma alla superfice, dove l’italiano legge distrattamente la notizia e accusa tutti gli stranieri, cosa che può succedere nella maggior parte della popolazione straniera: l’italiano è razzista quindi tutti gli italiani sono razzisti. L’incontro con l’altro è sempre più difficile ed è una delle sfide più grandi del nostro secolo.

Nel documentario molti rimproverano chi si auto ghettizza.

È come alla fine dell’ottocento, quando gli italiani migravano per l’America: in un posto nuovo si cerca qualcuno della tua stessa lingua e modo di fare perché si ha sempre paura del diverso. L’integrazione è sempre un percorso bilaterale, una cosa importante su cui bisogna insistere. Io ti accolgo, tu mi accogli. Si fanno un sacco di ragionamenti stupidi come quello di togliere il crocefisso dalle scuole; non si fa altro che fomentare l’odio. L’obiettivo deve essere di aggiungere e non di togliere e non può essere fatto con la forza, bisogna dare al tempo il compito di amalgamare il tutto.

Com’è nata l’idea di seguire e riprendere la nascita di Marzia?

In realtà questa era l’idea di partenza: raccontare il successo di queste persone e la vita che nasce. Abbiamo cercato da subito una coppia per raccontare le loro dinamiche lontane dalla loro terra con le difficoltà, le speranze e l’attesa di una vita in arrivo. Non ci siamo riusciti, c’erano pregiudizi nei nostri confronti. All’inizio, ingenuamente, abbiamo pensato facciamo dei casting, ma non è arrivato nessuno. Poi abbiamo deciso di contattare un paio di centri, ma anche li è stato un fallimento; avevano paura che potessero portare via il bambino. Poi per caso un collaboratore ha incontrato una donna incinta al supermercato, Linda che era interessata ed entusiasta del progetto. In più lei era veramente sola: dopo l’estate era tornata dal Gana con il pancione e non aveva parenti ne amici. Noi avevamo bisogno di lei e lei di noi, era come se il destino ci avesse fatto incontrare.

Come vedi la prospettiva futura per i flussi migratori?

Ho provato a studiare un po’ la situazione anche in vista del nostro percorso storico: fino al secolo scorso la situazione era sempre instabile con milioni di morti durante le grandi guerre. Poi abbiamo capito che bisogna intraprendere un percorso di pace. L’Africa ha bisogno dei suoi tempi e alla fine arriveranno a una stabilità. Il problema è che tutte queste guerre sono fomentate per interessi da noi occidentali e tutto ciò allunga il processo di pace. L’Europa ha destabilizzato i loro stati portando le persone alla fuga e a quel punto non puoi fare altro che accoglierli; il problema è come. Purtroppo si continua ad affidare la vita di queste persone ai barconi invece di creare dei canali umanitari, dei progetti di sviluppo all’interno di quei paesi dove non c’è la guerra e le popolazioni sono attratte dallo stile occidentale. L’Europa ha bisogno degli immigrati lo evidenziano l’INPS e le indagini sul territorio; ma è anche importante garantire una navigazione di ritorno, formare queste persone e aiutarli a creare ricchezza, imprese in quelle che sono le loro terre.

Quale distribuzione ha trovato il film?

Il progetto sta girando molto nelle scuole grazie al progetto Adotta un film ed è molto importante in modo che i ragazzi possano identificarsi e sensibilizzare. La cosa bella è che girando per le scuole ci sono un sacco di ragazzi stranieri o immigrati di seconda generazione che quando vedono il film esclamano “ah, allora posso farcela anch’io!” e questo vuol dire che il film funziona.