Botte da orbi in Sicilia, gaffe in Puglia, rischio di nuove elezioni in Piemonte, Roma sull’orlo dell’autocommissariamento. Oltre al pasticcio della Campania, dove ieri il non-governatore Vincenzo De Luca ha presentato un ricorso contro la decreto con cui il presidente del Consiglio lo ha sospeso, il dopo voto del Pd continua a procedere sotto gli influssi velenosi di una cattiva stella in quasi tutta Italia, nei cosiddetti «territori». Che ora rischiano di esplodere. Uno dopo l’altro.

Mentre a Roma si attende la relazione del prefetto Gabrielli in forza della quale – secondo i boatos di Palazzo – Renzi porterà il sindaco Marino alle dimissioni e la Capitale al commissariamento, in Sicilia va in scena una cavalleria rusticana tutta interna al Pd. Ma dopo anni di litigi fra il partito regionale, guidato dal giovane turco Fausto Raciti, e il governatore Rosario Crocetta, stavolta è arrivato il duello finale. Fabrizio Ferrandelli, ’deputato’ regionale, chiede la convocazione del gruppo prima di sabato prossimo – giorno in cui dovrebbe tenersi la riunione della direzione Pd – per presentare una mozione di sfiducia contro il presidente e compagno di partito. L’accusa: «Due anni di promesse elettorali disattese, un programma stravolto e riforme a metà che hanno paralizzato l’assetto istituzionale ed economico della Sicilia». Ferrandelli propone di votare «una sfiducia costruttiva che consenta all’aula di chiudere l’esercizio finanziario per poi dare ai siciliani, già ad ottobre, la possibilità di scegliere un nuovo presidente del Pd». In Sicilia la guerra fra il Pd, renziano e non, e il suo governatore è in corso dall’inizio del mandato. Negli ultimi giorni la situazione però è precipitata. Il sottosegretario all’istruzione Davide Faraone, straparlante megafono di Renzi nell’isola, alla vigilia del giudizio della Corte dei Conti sul bilancio aveva paventato il rischio che dal governo centrale non arrivassero i soldi perché «c’è chi dà calci al governo Renzi». Sottinteso Crocetta. Il quale replica a brutto muso: Faraone vuol dire che «il popolo siciliano paga il fatto che non sono allineato? Se fosse così, ci sarebbe da andare in procura. Cosa posso rispondere a uno che si nomina proconsole della Sicilia? Faraone usa lo stesso linguaggio dei Lima e dei Ciancimino». Parole pesanti, per le quali Raciti aveva chiesto a Cricetta di scusarsi. Ottenendo in cambio la sua parte: «A Raciti rispondo con una canzone dei Pooh: ’Scusa non ti ho riconosciuto’». Ieri la mozione di sfiducia. Se arriverà davvero alla regione, Forza Italia dice di essere pronta a votarla.

In Piemonte, dove l’aria è tutta un’altra, il presidente Chiamparino da un anno è solidamente al timone di una navigazione tranquilla dopo che il predecessore Roberto Cota (quello che con i soldi pubblici si era comprato mutande verdi) era stato abbattuto dalle irregolarità di una delle liste che lo sostenevano. Il governo è cambiato, ma la maledizione continua. Due procedimenti aperti nel luglio 2014 – un esposto dell’eurodeputato leghista Borghezio sulla regolarità delle firme sulle liste Pd di Torino e Cuneo e del listino regionale che garantisce il premio di maggioranza e un altro esposto di un’ex consigliera del Carroccio – ora mettono di malumore il governatore. Che ha un certo carattere e ha avvertito che se il 9 luglio il Tar, che si riunirà per la terza volta, non darà indirizzo chiaro potrebbe mollare. Chiamparino si confronterà con i vertici Pd piemontese, il segretario e capogruppo in regione Davide Gariglio e il maggiore in grado dei fassiniani Fabrizio Morri. Ma non ha nessuna voglia di restare a bagnomaria. E nel caso di dubbi sulla regolarità delle firme, sarebbe pronto a mandare tutto all’aria e ripresentarsi: ma stavolta con una squadra tutta sua, non negoziata con il partito pasticcione. Esulta Cota: «La situazione di Chiamparino è più grave rispetto a quella che si è verificata nella passata legislatura: allora si trattava di irregolarità in alcune candidature di una lista collegata», stavolta «le irregolarità riguardano le firme del listino del presidente e della lista del Pd».

Le cose vanno meglio in Puglia, ma le gaffe si sprecano. Sabato scorso Emiliano è stato proclamato governatore dopo ben 26 giorni dal voto causa garbugli legulei derivanti dalla nuova legge elettorale e dai ricorsi dei non eletti. Ora si attende che l’ufficio elettorale ratifichi il consiglio. Nel frattempo Emiliano si porta avanti con il lavoro e nomina come portavoce Elena Laterza, collaboratrice dai tempi del comune di Bari. Il fatto è che si tratta della fidanzata. L’uno e l’altra non fanno una piega. «Il mio lavoro è sotto gli occhi di tutti ormai da undici anni. Non intendo buttare a mare la mia vita professionale», dice lei.