Come ogni anno il 7 aprile, giornata mondiale della salute, il People’s Health Movement (Movimento dei Popoli per la Salute) scende in campo per ribadire l’importanza di tutelare la sanità pubblica come servizio universalmente accessibile e libero dalle logiche di mercato. Quest’anno a maggior ragione, a seguito delle criticità emerse nella gestione della pandemia da Covid-19, il movimento, insieme alla Rete europea contro la commercializzazione e la privatizzazione della salute, lancia una campagna decentralizzata in tutta Europa dal titolo La nostra salute non è in vendita, che in Italia si traduce in un appello per un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, inclusivo e da cui siano tenuti fuori i privati. 

“La speranza è che dopo questa pandemia si riscopra l’importanza di un agire collettivo, di un prendersi cura esteso in senso statale e che ci sia una richiesta comune da imporre all’agenda europea”. Spiega Chiara Bodini, specialista in Malattie Infettive e Medicina Preventiva, attivista del Centro di Salute Internazionale e del People’s Health Movement.

Questo momento così difficile potrebbe infatti offrirci un’apertura verso quella visione condivisa della salute che ha permesso la fondazione del nostro Ssn, ma che da tempo manca come elemento unificatore.

E’ sintomatico come proprio il distanziamento dei corpi messo in atto per proteggerci dal virus in questo periodo, rendendoci di colpo consapevoli della responsabilità che ognuno ha nella salute altrui, faccia emergere l’aspetto fondamentale della cura: il suo essere espressione di una richiesta collettiva.  

“Di cura si può parlare soltanto quando un’intenzione, un pensiero, un progetto si traducono in azione visibile e “sensibile” scrive Luigina Mortari, Ordinaria di Pedagogia Generale e Sociale all’Università di Verona e una delle principali studiose dalla filosofia della cura nel nostro Paese. Durante l’intervista telefonica che le abbiamo rivolto la ricercatrice ha ricordato che “la cura è una condizione essenziale per l’essere umano, di cui abbiamo bisogno per conservare la vita e farla fiorire” e, citando la filosofa Nel Noddings, che è l’unica cosa che non potrebbe mai essere sostituita dalla tecnologia perché ha bisogno di presenza, sguardi, attenzioni, vicinanza. 

“Siamo abituati a vivere di un pensiero di onnipotenza che invece non ci appartiene. Forse quello che manca nella cultura contemporanea è includere la fragilità e la vulnerabilità” ci ha detto. Una fragilità che l’isolamento ha fatto emergere e che si è tradotta da una parte in paura che ha alimentato minacce e spionaggio dai balconi, dall’altra nella volontà di riconoscersi in una comunità, per esempio attraverso la costituzione dei numerosi gruppi per il mutuo aiuto.

Il mondo femminile ha molto da dire sulla cura e la necessità di un riconoscimento sia per le donne che se ne occupano all’interno delle proprie famiglie che per chi la esercita in forma di mestiere. Lo studio pubblicato nel 2019 Il valore del lavoro domestico condotto da Domina, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa, basato sui dati di Inps e Istat, mostra che nel nostro Paese (ma la situazione è molto simile a quella del resto d’Europa), dei circa 865 mila lavoratori domestici regolari l’88% sono donne e il 73% straniere. Si stima che i lavoratori irregolari rappresentino il 60% del totale, che sfiora quindi i 2 milioni di persone: tutti comunque lavorano in assenza di diritti e protezioni, sono invisibili, come sta venendo alla luce nelle proteste di questi giorni, in cui badanti, colf e baby-sitter hanno denunciato di non essere incluse nel Decreto CuraItalia.

“Questa emergenza si innesta nella crisi permanente di quella che molte femministe hanno chiamato riproduzione sociale. Da questo punto di vista anche gli scioperi nelle fabbriche e le rivolte nelle carceri di questi giorni rivendicano la capacità di autosottrarsi agli imperativi della produzione, alla disponibilità totale, che sono caratteristiche di tanti tipi di lavoro oggi. E’ un modo per ribadire che la salute viene prima di tutto e che la produzione dovrebbe fermarsi di fronte a rischi collettivi come quelli che stiamo cercando di gestire” A parlare è Beatrice Busi, ricercatrice e attivista femminista, autrice del libro Separate in casa: la mancata alleanza tra movimento femminista e organizzazione delle lavoratrici domestiche in Italia, del 2019. 

Il concetto di riproduzione sociale che i movimenti femministi contrappongono a quello della produzione è una riabilitazione di tutte le attività che permettono il rigenerarsi della vita e della salute di sé e degli altri. È in base a questo che alcuni movimenti dal basso, come per esempio Non Una di Meno, hanno chiesto il reddito di quarantena, per assicurare un eguale possibilità di resistenza alla situazione.

Infatti se questi giorni di isolamento nelle case hanno rappresentato per alcuni una riappropriazione del tempo perduto da passare con i figli e per riscoprire le relazioni di prossimità con i vicini o la bottega sotto casa, dall’altro lato hanno reso evidente la disparità sociale che causa disuguaglianza nella capacità di affrontare le emergenze. Così come la salute dipende da quelli che l’OMS descrive come determinanti sociali (lo status economico, le condizioni ambientali, ecc.), anche la nostra capacità di resilienza è strettamente legata alla disponibilità di denaro, spazio fisico e spazio mentale.

“Questo aspetto è molto importante e chiama in causa la dimensione del collettivo; quei contesti in cui insieme ad altre persone è possibile mettere in pratica una rielaborazione e un’alternativa”. Ci dice Bodini.

“Per esempio l’emergenza del Codiv-19 sta evidenziando quanto sia importante  un sistema sanitario pubblico funzionante e accessibile a tutti. Quando un sistema come il nostro soffre di anni di privatizzazione e tagli di risorse e personale, viene eroso e si instaura un meccanismo di perdita di fiducia, per cui la gente comincia ad andare dal privato. Pian piano questo toglie forza politica al sostegno che il servizio sanitario dovrebbe avere dai cittadini: nessuno lo difende perché non risponde più alle esigenze delle persone”.

Questi giorni ci stanno insegnando più che mai quanto sia vulnerabile quella parte di popolazione messa ai margini a causa delle malattie o dell’età, come i numerosi anziani che vivono in solitudine. “Abbiamo la necessità di ripensare una politica diversa ispirata non più solo all’efficienza, ma alla filosofia della cura, rimettendo al centro i suoi due aspetti paradigmatici: l’educazione, attraverso la quale lasciamo che l’altro fiorisca nel migliore dei modi e la relazione di amicizia, senza cui non potrebbero esistere le comunità”,  ricorda Mortari “ma sarebbe un’illusione quella di pensare che le cose migliorino da sé: bisogna volerlo a tutti i costi e fare azioni mirate affinché i cambiamenti ispirati da questa emergenza diventino strutturali”. 

Per aderire all’appello La nostra salute non è in vendita del PHM in questi giorni sarà possibile seguire la pagina Facebook Campagna Dico32 – salute per tutte e tutti!, in cui verranno pubblicati i messaggi chiave per richiedere un Ssn efficace ed equo, che il 7 aprile tutte le persone saranno invitate a scrivere su lenzuoli da appendere ai balconi o su poster da affiggere negli atri dei propri condomini.