La crisi di sistema richiede un intervento alternativo

La constatazione di Antonio Gramsci che “La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere|, definisce nel modo più preciso l’attuale situazione globale. In effetti il sistema capitalista si trova in una crisi profonda che non può più controllare e coordinare. Il suo inizio ha avuto luogo con il crollo del sistema mondiale bipolare tra gli Usa e la Russia come sostituta dell’Unione Sovietica. Dagli anni ‘90 guerre e conflitti sono aumentati a livello mondiale. L’umanità intera umanità si trova di fronte a grandi sfide.

In Medio Oriente questa crisi diventa evidente attraverso la condizione degli Stati-nazione. Turchia, Iran, Siria, Iraq, Libia, Yemen, Egitto, Tunisia, Afghanistan, Pakistan ecc. lottano per la sopravvivenza e allo stesso tempo agiscono in modo sempre più aggressivo nei confronti delle loro società che lottano per i diritti e la libertà. Andando a guardare gli attori che hanno le mani in pasta in questa crisi onnipresente, si può senz’altro parlare di una Terza Guerra Mondiale. La primavera araba ha rappresentato un tentativo di insurrezione popolare contro i regnanti della regione, ma purtroppo è fallita. Invece di un profondo cambiamento democratico, sono stati soltanto sostituiti alcuni vertici di regime nel senso desiderato dal sistema capitalista mondiale.

Le potenze coloniali nel Kurdistan

Nel centro di questa regione di crisi, le potenze coloniali nel Kurdistan, ovvero la Turchia, l’Iran e la Siria sono in rivolgimento. Tutte sono state testimoni di ciò che successo al loro Stato vicino, l’Iraq, dagli anni ‘90 in poi.
Il leader del popolo curdo e pensatore Abdullah Öcalan, che dal suo sequestro organizzato a livello internazionale nel 1999 viene tenuto prigioniero come ostaggio politico sull’isola di Imrali, è stato colpito personalmente da questo sconvolgimento.

Il suo sequestro ha che fare con questa crisi in modo diretto. Si era occupato in modo intenso e critico del crollo dell’Unione Sovietica, dato anche che il suo partito, il Pkk, si collocava nel blocco socialista. Dalla sua cella, nella quale da 21 anni viene trattenuto come ostaggio, ha formulato una soluzione che stava cercando fin dagli anni ’90e  che ha annunciato il 21 marzo 2005 in occasione del capodanno curdo Newroz: Il Confederalismo Democratico. “A Imrali sono nato di nuovo”, ha detto ripetutamente annunciando il suo nuovo paradigma socialista.

I curdi, che hanno creduto in lui per 40 anni e che lo fanno ancora oggi, hanno accolto questa nuova idea con entusiasmo e con grandi sacrifici l’hanno messa in pratica negli ultimi 15 anni. Oggi il nuovo paradigma, e il corrispondente modello del confederalismo democratico, ha una risonanza positiva anche ben oltre il Kurdistan.

Il paradigma di Öcalan

Nelle sue discussioni, Öcalan è giunto alla conclusione che il socialismo reale ha fallito per un’insufficiente analisi del fenomeno del potere. Il socialismo reale quindi non avrebbe fallito se i socialisti avessero costruito il loro sistema al di fuori dello Stato e del potere. Il paradigma di Öcalan rifiuta il potere, il pensiero e l’azione orientati al potere, in quanto causa del crollo delle liberazioni di sinistra. Il suo obiettivo non si definisce solo nella liberazione della classe o della nazione oppressa, ma della totalità di una società.

L’idea filosofica dietro al confederalismo democratico, in Öcalan è il risultato di una critica radicale della modernità capitalista che si fonda sul paradigma del potere. Per lui la costruzione della democrazia e il divenire società, non sono collegati all’aspirazione al potere. “La mia idea di confederalismo democratico è […] complessiva. Per me significa l’organizzazione autonoma democratica della società senza rivendicazione del potere”, così Öcalan.

Considera il caos globale vigente e la sua accentuazione in Medio Oriente opportunità per la costruzione del confederalismo democratico. La sua realizzazione in Kurdistan allo stesso tempo va di pari passo con una democratizzazione dei quattro Stati che si presentano come potenze coloniali nelle zone di insediamento curde. In questo modo diventa chiaro che il concetto non è impostato solo sul Kurdistan. L’obiettivo è un confederalismo democratico oltre il Kurdistan in tutto il Medio Oriente.

Trasformazione democratica di uno Stato coloniale secondo l’esempio della Siria

Andiamo a vedere meglio il tutto in base all’esempio dello Stato siriano. All’interno del territorio statale siriano si trova la più piccola delle quattro parti del Kurdistan. I curdi che vivono lì, in modo simile a quelli che vivono nelle altre parti, sono stati costantemente esposti a una persecuzione da parte del governo centrale. In particolare in seguito agli sviluppi in Iraq del nord all’inizio degli anni ’90 che portarono alla costituzione di una zona di divieto di sorvolo, il regime siriano rafforzò la sua repressione contro i curdi all’interno del proprio Paese.

Quando Öcalan il 9 ottobre 1998 dovette lasciare Damasco dopo 19 anni, Bashar al-Assad strinse un alleanza con la Turchia e in questo modo formò un fronte comune anti-curdi. L’obiettivo comune di Ankara e Damasco era di risolvere una volta per tutte il “problema curdo”. Il 12 marzo 2004, il regime siriano Baath uccise 32 curdi dopo una partita di calcio a Qamishlo. Dopo questo massacro divampò una rivolta che si diffuse in tutto il Rojava e perfino tra i curdi ad Aleppo e a Damasco.

Fu la prima insurrezione di massa in Rojava. In seguito a questo i curdi fondarono per la prima volta comitati di difesa armati. Questo massacro doveva intimidire i curdi in Siria, perché nel Paese vicino, il Kurdistan del Sud (Iraq del nord), ai curdi dopo la caduta di Saddam era stata concessa l’autonomia.

I comitati difesa formati in Rojava invece rappresentarono i predecessori delle odierne YpgG/Ypj. Anche il fatto che il precursore curdo Öcalan dal 1979 fino al 9 ottobre 1998 aveva istruito più di 40mila persone nelle accademie di partito del Pkk in Siria e aveva motivato in favore dell’organizzazione anche i curdi in Rojava, non va sottovalutato. Öcalan inoltre si era impegnato intensamente per la costruzione di amicizie con i rappresentanti di arabi, assiri e armeni. Questo rappresentò il fondamento per la successiva rivoluzione del Rojava che scoppiò nel 2012.

L’ostilità del regime Baath nei confronti dei curdi

Ma prima di arrivare alla rivoluzione, è opportuno dare uno sguardo all’andamento storico della politica sui curdi del regime siriano. Il nazionalismo arabo che si presentò sotto la copertura di un socialismo arabo, ha sempre considerato i curdi come un problema di sicurezza. La regione del Rojava fu trattata come una colonia, furono create monocolture di frumento e cotone e sfruttati i giacimenti di petrolio e gas naturale. Il Rojava è storicamente parte della Mezzaluna Fertile e, dato che i fiumi Eufrate e Tigri attraversano il territorio, è molto produttivo. Il regime siriano fece del Rojava il granaio del Paese. Le industrie di trasformazione delle materie prime con mulini e raffinerie furono però costruire a grande distanza nelle regioni arabe.

Nel 1962 in Rojava fu dato luogo a un censimento che portò al fatto che oltre 150mila curdi residenti furono etichettati come ajnabi (stranieri). Fu loro ritirata la nazionalità. Non avevano diritto a proprietà, istruzione, partecipazione politica, incarichi statali, matrimoni legali. Terreni e proprietà dei curdi furono trasferiti a tribù arabe fedeli allo Stato.

La persecuzione dei curdi si inasprì con la presa del potere da parte del partito Baath nel 1963. Il capo dei servizi segreti della regione Hassakah, il luogotenente Muhammad Talab al-Hilal, elaborò per il regime Baath un piano di sicurezza che prevedeva l’arabizzazione (politica della cintura araba). Definì i curdi “nemici della Siria”, la regione Jazira/Rojava “pericolo curdo”, e scrisse che i curdi erano un “tumore maligno“ nel corpo della nazione araba.

Hafez al-Assad, che nel 1970 prese il potere attraverso un golpe, nel 1976 dichiarò conclusa la politica della “cintura araba”. La discriminazione dei curdi continuò sottotraccia. A lui interessava il predominio nel mondo arabo. Considerava lo Stato turco, con il quale storicamente litigò per pretese su territori, uno dei grandi pericoli. Ciò anche perché lo Stato vicino in quanto membro della Nato, rappresentava gli interessi degli Usa nella regione.

Su questa base, il regime Assad alla fine tra il 1979 e il 1999 allacciò relazioni con il leader del popolo curdo Abdullah Öcalan. Anche Assad non considerava un grande pericolo la strategia di Öcalan dell’amicizia tra i popoli, dato che vedeva che questi era molto interessato ad alleanze con la popolazione araba.

La trasformazione di uno Stato Nazione secondo l‘esempio della Siria

Quando a partire dal 19 luglio 2012, le forze del regime furono spinte fuori dal Rojava città per città, i consigli locali presero il controllo dei terreni agricoli. La nuova amministrazione fu costruita attorno a comuni di nuova creazione, costituiti per lo più da un villaggio e dai borghi circostanti. Le comuni distribuirono le terre tra le famiglie residenti secondo le necessità e la capacità di coltivarle. Alcune parti dei terreni rimasero nelle mani dei consigli, come base per le prime cooperative.

Va ricordato che le istituzioni statali, dopo la prima rivoluzione avevano continuato a essere presenti in Rojava – alcune fino ad oggi. All’inizio della rivoluzione fu necessario tollerare la presenza dello Stato in alcuni settori, fino a quando l’Amministrazione Autonoma avrebbe trovato una via democratica per prenderli in mano lei stessa. Lo Stato rimase partecipe nell’industria petrolifera, nelle banche, nel sistema scolastico, nella sanità; acqua e elettricità e l’aeroporto di Qamishlo inizialmente furono lasciati al regime fino a quando i consigli furono in grado di gestirli loro stessi in modo alternativo.

Dal punto di vista strategico, per l’Amministrazione Autonoma era importante anche fare concessioni al regime per evitare un’ulteriore escalation. Inoltre l’obiettivo del confederalismo democratico non è la scissione di un territorio da uno Stato esistente. Öcalan questo proposito dice: “Il compito quindi non consiste nel rovesciamento di uno Stato, perché quando lo Stato cerca un compromesso con il popolo, questo dovrebbe anche avere luogo. Ciò tuttavia non significa che questo popolo vuole lo Stato. Si tratta della protezione del suo ambiente locale. Su base locale, ovvero comunale, cerca di risolvere i propri problemi con le proprie forze”-

Intorno al Rojava allo stesso tempo, dal 2012 infuriava una guerra brutale condotta dai jihadisti, sostenuta e promossa dalla Turchia. Le strategie di difesa erano però sviluppate al punto che una grande resistenza fu un grado di proteggere il confederalismo democratico. Le Ypg e le Ypj in questo senso erano e sono una componente vitale. Nel corso di questo periodo, le Ypg e Ypj hanno aiutato arabi, assiri e armeni a costruire le proprie forze di difesa. Oggi sono tutti insieme sotto il tetto delle Forze Democratiche della Siria (Sdf).

Il comunalismo

Le colonne portanti dell’Amministrazione Autonoma alla base sono le comuni. Le comuni dispongono di commissioni tecniche, che a loro volta collaborano con le accademie competenti. In questo modo perfino le comunità più piccole sono in grado di organizzare da sé le loro necessità. Il sistema viene chiamato anche democrazia radicale. Negli incontri regolari si ritrovano tutti gli abitanti di un villaggio o di un quartiere, per trovare soluzioni e alternative per problemi quotidiani. In questi incontri vengono eletti anche delegati ai consigli superiori.

Dato che le persone nelle comuni man mano svolgono tutti i compiti pubblici (dall’istruzione alla costruzione delle strade, dalle condizioni di lavoro all’amministrazione della giustizia) con le proprie energie, lo Stato, e anche tutte le sue istituzioni organizzate in modo gerarchico, vengono ridotte a una quantità minima di compiti amministrativi, fino a quando alle fine diventano del tutto superflui.

Decisioni relative alle città e alle regioni più grandi vengono prese dai consigli costituiti dai delegati delle comuni. Un intervento dall’alto nei livelli inferiori non deve avvenire, dato che questi sono autonomi. Le donne, accanto alle case delle donne, costituiscono proprie comuni di donne e un proprio sistema autonomo.

Una rivoluzione nella rivoluzione: la rivoluzione delle donne

Il movimento delle donne in Rojava era stato fondato già nel 2005 con il nome Yekitiya Star. Questo movimento faceva riferimento alla trentennale esperienza del movimento delle donne curde. In Rojava le donne curde avevano lottato contro la politica repressiva del regime Baath a tutti i livelli. Con la rivoluzione del 2012 le donne avevano preso parte alla lotta per la costruzione delle strutture del confederalismo democratico, ma anche creato strutture proprie del confederalismo democratico per le donne.

Per via della diffusione del sistema, modificarono le strutture organizzative nel congresso del 2016 e cambiarono il nome in Kongreya Star. Nel corso della rivoluzione, il movimento delle donne è riuscito a convincere e mobilitare per la loro liberazione anche donne arabe e cristiane. Sono stati costruiti numerosi comitati comuni. Il Kongreya Star dispone anche di un’ampia rete con donne dei Paesi arabi.

In tutti comitati e in tutte le strutture politiche vige una quota di genere del 40%. I consigli sono rappresentati da un doppio vertice, nella forma di una donna e un uomo insieme come co-presidenti. Le cooperative di donne crescono per dimensioni e numero, perché sono un percorso importante per le donne per ridurre man mano la loro dipendenza dai loro padri e mariti.

In via generale, la lotta di liberazione permanente delle donne ha influenzato anche l’economia: le donne per la prima volta nell’età moderna partecipano in modo ampio e autonomo all’economia e possono essere indipendenti dalle loro famiglie. Complessivamente, il modello di donna prevalente nella società è ancora tradizionale. Ma la quota di donne che decidono per altri percorsi però cresce vertiginosamente.

Il sistema economico in Rojava

Come in tutto il Medio Oriente, il sistema economico capitalista dominava anche in Rojava. Con la costruzione del confederalismo democratico, dal 2012 viene sviluppata un’economia democratico-sociale. Le cooperative come base dell’economia sociale, rappresentano il fondamento del sistema economico. Più cooperative ci sono, meno è il capitalismo. Il numero di cooperative dal 2012 è cresciuto costantemente. Con la promozione delle cooperative, i residui del mercato capitalista che a partire dall’anno della rivoluzione del 2011 era stato ereditato dal regime siriano, divennero via via più piccoli.

Tutte le cooperative lavorano in modo coordinato con i consigli e l’Amministrazione Autonoma democratica. Insieme ai consigli, alle accademie, alle municipalità e ai comuni, in base alle necessità vengono create le cooperative. Come organizzazioni di base più piccole, le comuni decidono da sé in quale forma risolvere i loro problemi economici. Le accademie per l’economia aiutano le persone con il know-how necessario per farlo.

Oggi ci sono cooperative per l’erogazione di elettricità, panifici, fornitura idrica, produzione di bibite, vestiario, generi alimentari, ecc. Esiste anche una molteplicità di cooperative agricole. Queste, e anche tutte le altre cooperative, lavorano in modo coordinato con le accademie e commissioni dell’Amministrazione Autonoma, che hanno l’incarico della modalità produttiva ecologica. Accademie per l’ecologia motivano le persone per alternative ai concimi chimici in agricoltura.

La sfida maggiore in questo settore è rappresentata dall’embargo sull’acqua da parte dello Stato turco per quanto riguarda i fiumi Eufrate e Tigri. Questi nascono nel Kurdistan del nord, dove lo Stato turco ha costruito dighe per usare l’acqua come un’arma di guerra contro la Siria e l’Iraq.

I problemi sociali raramente vengono portati fino ai comitati superiori che si definiscono come istituzioni della giustizia, ma vengono risolti localmente dalle comuni e dai consigli. In Rojava il sistema giuridico non è fondato su articoli e leggi come avviene per gli Stati, ma secondo i principi morali-etici che le società, accanto alla “giurisdizione” dello Stato, hanno sempre avuto. Ci sono tribunali solo per i prigionieri dell’Isis, dato che hanno commesso crimini contro l’umanità. Qui combinano il loro paradigma democratico con il diritto internazionale. Perché la maggior parte dei prigionieri dell’Isis sono originari di altri Paesi.

Il sistema educativo della nazione democratica

Nazione democratica significa pluralità della società secondo caratteristiche come etnia, orientamento religioso e genere. In Siria del nord e dell’est il sistema educativo è costruito per una convivenza basata sulla parità di diritti. Dalla rivoluzione in poi, si lavora alla ricerca e per lo sviluppo delle diverse lingue, culture e storie dei popoli. Il sistema educativo punta sulla pluralità e il multilinguismo.

Nelle scuole elementari, fino alla terza classe l’insegnamento avviene nella rispettiva lingua madre. A partire dalla quarta classe, imparano le lingue dei popoli con i quali si convive e le lezioni si svolgono in due lingue. Con la quinta classe inizia l’insegnamento delle lingue straniere. Concretamente questo significa che bambini arabi, curdi e suryoye (assiri), fino alla terza classe studiano nella loro lingua madre.

Materiali didattici contengono sia la storia sia la cultura di ogni singola società della Siria. In Siria del nord e dell’est, circa 790mila alunne e alunni vengono istruiti secondo questo modello. La cosa più importante di questo sistema è il rapporto tra insegnanti e studenti. Perché, come l’ex sistema di governo, anche il vecchio sistema scolastico si basava soprattutto sulla paura e la violenza.

Nel nuovo sistema, gli studenti condividono la responsabilità per la vita scolastica e possono partecipare attivamente alle decisioni. In ogni scuola vengono formati comitati scolastici, per impostare le scuole in modo democratico e partecipativo. Inoltre abbiamo sviluppato meccanismi sanzionatori per insegnanti che usano violenza fisica e psicologica. Contrariamente ai sistemi scolastici esistenti, dove l’istruzione viene usata per la stabilizzazione del loro dominio, il modello formativo delle università si basa sul pensiero libero e democratico.

Oltre a questo, ci sono innumerevoli accademie per diversi settori che sono aperte a tutti. Le accademie sono qualcosa di simile alle università o alle facoltà specialistiche per i cittadini. Sia le accademie sia le scuole e università, lavorano con l’accademia e il comitato della Jineolojî. I comitati e i consigli di queste istituzioni formative devono essere composti in modo emancipatorio da donne, uomini e secondo le appartenenze etniche e religiose.

Jineolojî: liberazione dal positivismo

Il termine Jineolojî è comparso per la prima volta nell’anno 2008 nel terzo volume del Manifesto della Civiltà Democratica di Abdullah Öcalan, dal titolo “Sociologia della Libertà”. Nel dialetto curdo kurmanji jin significa donna, ma ha la stessa radice della parola jiyan che significa vita. Jineolojî quindi non andrebbe intesa, come spesso avviene, solo come la scienza della donna. Si tratta in parallelo anche della scienza della vita, della società nel suo complesso.

L’obiettivo di questa scienza è collegare con la società il sapere, oggi divenuto elitario. Ma anche di liberare ideologicamente le teste dal positivismo. Il positivismo che come fede nel progresso si trova alla base del sistema capitalista, divide il mondo in soggetto e oggetto; bianco-nero; sopra-sotto e in questo modo legittima anche le gerarchie. Öcalan definisce il positivismo che il sistema capitalista prende come fondamento del sapere e del pensiero come “più volgare materialismo” e “religione idolatra”.

Secondo lui, anche l’attuale idea di progresso determinista è una conseguenza del positivismo. Il positivismo, usato dal sistema capitalista per la negazione della dinamica interna storica e attuale, è diventato la costruzione del pensiero mitologico, religioso, filosofico e scientifico delle società.

La Jineolojî quindi lotta per superare l’astrazione e il distaccamento del sapere dalla società. Non riduce la società a oggetto né soggetto, ma la vede come parte dell’equilibrio ecologico. In questo modo riconduce all’etica, ai bisogni e all’obiettivo di ristabilire l’equilibrio di donna-natura-società. Questo processo ha spianato anche la strada a una profonda nuova riflessione sulle radici di oppressione, sfruttamento e gerarchia. Concretamente le accademie e i comitati di Jineolojî lavorano con questi obiettivi in ambiti come ecologia, economia, sociologia, etica-estetica, istruzione, salute, storia e autodifesa.

L’internazionalismo della rivoluzione del Rojava

L’attacco alla Siria nel 2011 avrebbe potuto finire come la primavera araba senza cambiamento sociali, se in precedenza i curdi non avessero già praticato il paradigma di Öcalan. La guerra che veniva condotta attraverso Isis, doveva allargare la brutalità del fascismo attraverso l’Iraq e la Siria in Medio Oriente, Nord Africa, Caucaso, ecc. Per questo la vittoria delle Ypg/Ypj sull’Isis, che era sostenuto dalla Turchia, non fu una vittoria solo militare ma anche ideologica.

Se non fosse stato così, il sistema capitalista, come nel caso della primavera araba, avrebbe usato la condizione di rivolgimento a suo favore. La vittoria curda sull’Isis fu una vittoria per tute le società. Perché con la vittoria, l’umanità nel 21° secolo è stata salvata dall’espansione di brutalità, odio, assassinio, arretratezza di un Islam aggressivo e orientato al potere che non conosceva confini. Persone da tutto il mondo attraverso la lotta di liberazione hanno trovato nuova speranza e hanno visto in questo movimento una rivoluzione realizzabile.

In Rojava si è agito anche contro il divide et impera degli Stati-nazione della modernità capitalista, con il quale i popoli sono sempre stati messi gli uni contro gli altri. La vittoria contro l’Isissi è potuta raggiungere perché le società dei curdi, arabi, assiri, armeni, circassi, ceceni, così come musulmani, cristiani, ezidi e aleviti, così come donne e gli uomini, sono rimasti uniti e hanno lottato insieme. Anche a livello mondiale migliaia di persone e molte organizzazioni hanno partecipato a questa lotta e alla costruzione del sistema democratico. Voglio qui esprimere il mio più per il nostro martire italiano Lorenzo Orsetti (Tekoşer Piling) e per tutte e tutti gli altri internazionalisti caduti.

Per questo la rivoluzione del Rojava è diventata una lotta di liberazione solidale e comune nazionale (curda), regionale (Medio Oriente), nonché globale.

Prospettive per una futura Siria democratica

Il Consiglio Democratico della Siria (curdo: Meclîsa Sûriya Demokratîk; in breve: Msd) all’inizio del 2016 ha presentato una proposta complessiva per la soluzione della crisi siriana. Questa prevede la ricostruzione della Siria nella forma di una confederazione di diverse regioni autonome sotto una costituzione e una rappresentanza diplomatica comune. Accanto alla formazione di una federazione curdo-araba nel nord, vengono proposte una federazione arabo-sunnita nella Siria orientale e centrale, una federazione alauita a occidente, e una regione autonoma drusa a sud.

Tutti i gruppi etnici, religiosi e sociali avrebbero il diritto di organizzare e amministrare le proprie questioni nell’ambito dei principi fondamentali stabiliti a livello costituzionale. La proposta conteneva un quadro per una distribuzione equa delle risorse tra le regioni, in modo che nessuna regione debba importare qualcosa fintanto che questo fosse disponibile in un’altra regione.

Pericoli e rischi

L’Amministrazione Autonoma democratica in Siria del nord e dell’est trova sempre più risonanza positiva tra le comunità arabe in Siria. Con la liberazione di Raqqa nel 2017 e di Deir e Zor nel 2019, anche in queste zone arabe sono stati costituiti consigli che lottano per la costruzione del confederalismo democratico. Da allora l’Amministrazione Autonoma si definisce della Siria del nord e dell’est (Nes). Il Rojava, dal punto di vista geografico è abitato in prevalenza da curdi e costituisce il centro della rivoluzione.

Sia il regime siriano sotto Bashar al-Assad sia le potenze straniere, cercano veementemente di impedirlo. Perché tutti loro vedono nella democrazia un pericolo per il loro potere. Per questa ragione fanno di tutto per provocare uno scontro tra curdi e arabi. Diversi noti capi tribù arabi che hanno partecipato al modello dell’Amministrazione Autonoma, negli ultimi due anni sono stati assassinati o dai servizi segreti dello Stato siriano o su ordine della Turchia da jihadisti salafiti. Così si vogliono intimidire gli arabi. Assassinii di personalità dirigenti curde da parte della Turchia sono diventati un elemento costitutivo della vita. Vengono assassinati con droni armati turchi.

Sia la Turchia abitualmente ostile nei confronti dei curdi sia le potenze globali, attraverso diversi metodi, cercano di diffondere il nazionalismo tra i curdi e gli arabi. Partiti e organizzazioni curdo-siriane prive di una base rifiutano il confederalismo democratico e si presentano come profittatori di guerra, cercano di promuovere all’interno della popolazione il virus del nazionalismo curdo. Questi gruppi vengono finanziati e sostenuti dal punto di vista logistico soprattutto dalla Turchia.

Attraverso questi cercano di dividere i curdi per indebolirli. Sono anche coloro che vanno a Ginevra o vengono invitati in altre piattaforme internazionali come rappresentanti del Rojava. Ma anche attraverso i cristiani vengono fomentati giochi simili in nome del cristianesimo. Perché il nazionalismo degli Stati-nazione della modernità capitalista, con questo strumento hanno portato al fallimento di molte rivoluzioni e causato molte guerre sia nei secoli passati sia nel presente.

Inoltre la Russia, con l’assenso dell’amministrazione Trump, ha dato il via libera alla Turchia per l’occupazione di Afrin nell’anno 2018. Nel 2019 Trump ha dato allo Stato turco copertura per l’occupazione di Gire Spi e Serekaniye. Più il modello del confederalismo democratico si sviluppava con successo, più si inasprivano gli attacchi. In continuazione la Turchia viene usata come spada di Damocle contro la Nes. Inoltre i rappresentanti della Nes vengono esclusi dalle conferenze a Ginevra, Sochi e Astana sul futuro della Siria. Con queste si intende screditarli a livello internazionale dal punto di vista politico, pubblico e diplomatico.

Questa esclusione, o anche isolamento, è una specie di punizione. Per tenere sotto controllo la Siria, anche l’Iran è impegnato nell’impedire al regime di entrare in un dialogo con la Nes. Nonostante la Russia in molti incontri diplomatici abbia garantito ai rappresentanti della Nes di indurre il regime siriano a un dialogo con la Nes, finora non è successo. Il persistente panarabismo del regime Baath è un altro un sostanziale ostacolo al dialogo.

La Nes quindi viene permanentemente attaccata non solo militarmente, ma anche ideologicamente. Mentre gli Stati sulla base dei propri interessi di potere vedono il confederalismo democratico come un pericolo, la Nes ha avuto grande solidarietà da parte delle persone a livello mondiale.

Come donna e come curda, il mio ringraziamento particolare va a Abdullah Öcalan che dalla centrale della tortura Imrali con le sue idee e proposte e i suoi consigli ci ha aiutati a trovare una soluzione in Kurdistan e per tutte le persone oppresse del Medio Oriente. È quindi un fatto umano naturale per tutte e tutti coloro che considerano il confederalismo democratico un’alternativa ai problemi locali, regionali e globali, impegnarsi anche per la sua libertà. Perché è per via delle sue idee che viene punito nel sistema di tortura a Imrali. È ora di lottare per la sua libertà. Da qui il mio appello a sostenere la campagna sudafricana “Il tempo è maturo: Libertà per Abdullah Öcalan – Per una pace giusta in Turchia”.

*co-presidentessa del Congresso nazionale Kurdistan

Traduzione a cura di Sveva Haertter