Secondo il servizio stampa del Cremlino il presidente del Kazakhstan, Kassym-Jomart Tokayev, ha «ampiamente informato» Vladimir Putin sulle condizioni della sicurezza nel paese dopo cinque giorni di proteste e di violenze il cui bilancio, ancora incerto, potrebbe concludersi con decine di vittime. Lo scambio fra Putin e Tokayev è avvenuto al telefono. Il linguaggio usato a Mosca è un segnale preciso sul piano diplomatico. La Russia riconosce Tokayev – ma non è il solo, a settembre è stato elogiato anche dal presidente Usa Biden – come il solo leader del Kazakhstan, a cui ha garantito appoggio militare con tremila uomini del suo esercito, e dal quale adesso si aspetta una ulteriore svolta nelle relazioni dopo la stagione di politica estera multivettore seguita per vent’anni dal paese.

AD ALMATY GLI SCONTRI proseguono. La situazione starebbe tornando tuttavia sotto controllo, il che dipende certamente dall’ordine di Tokayev di sparare a vista, ma non solo. L’impressione è che settori della società kazaca decisi in un primo momento a sostenere le pacifiche proteste cominciate nella città di Zhanaozen contro il caro carburanti e contro il malgoverno stiano abbandonando una rivolta parsa da subito ultraviolenta. Frange di manifestanti hanno preso le armi prima ancora che le forze di sicurezza scendessero nelle strade. Hanno occupato con sorprendente facilità piazze, palazzi del governo e persino l’aeroporto. E’ stata un’azione sin troppo efficace in un paese in cui la presenza delle forze dell’ordine è massiccia. Tokayev ha parlato di «combattenti addestrati all’estero». Non è la prima volta che un leader in difficoltà usa le stesse parole. Ma diversi testimoni hanno riferito di scontri tra le forze dell’ordine e uomini che non parlavano né russo, né kazaco, bensì arabo. L’ipotesi di infiltrazioni esterne può essere concreta.

COSÌ COM’È CONCRETA la possibilità che gli eventi degli ultimi giorni abbiano a che fare soprattutto con lo scontro per il potere fra Tokayev e il suo padrino politico, Nursultan Nazarbayev, che ha condotto il Kazakhstan all’indipendenza nel 1991 e lo ha guidato sino al 2019. Quali sono davvero i rapporti fra i due? Alla risposta è legata la soluzione della crisi. A fine dicembre Tokayev e Nazarbayev hanno preso parte al vertice informale della Comunità degli stati indipendenti che si è tenuto a San Pietroburgo, e in quella occasione hanno raggiunto la Russia con voli diversi. Soltanto un mese prima Tokayev aveva sostituito Nazarbayev alla guida del partito Nur Otan, significa «nazione prospera», che si trova al centro della politica kazaca da più di venti anni. La rivolta nelle strade di Almaty sembra avere accelerato il processo di divisione. Questa settimana Tokayev è salito al vertice del Consiglio di sicurezza, un organismo che secondo la Costituzione Nazarbayev avrebbe dovuto dirigere a vita. Politicamente il destino del padre della patria appare segnato. Su quello materiale i dubbi sono numerosi. Le voci di una fuga dalla capitale, Nursultan, sono state smentite da un portavoce del governo. Eppure negli ultimi giorni l’aereo privato di Nazarbayev si è spostato più volte fuori dai confini nazionali. Prima a Dubai, paese in cui la famiglia controlla importanti proprietà, e poi nel vicino Kyrgyzystan. La lunga assenza dalla scena pubblica alimenta il sospetto che il Primo presidente abbia davvero cercato rifugio all’estero, o che non sia in grado di esercitare le prerogative legate al suo status.

TOKAYEV, PARSO SINO a questo punto un anonimo burocrate scelto con il solo compito di custodire in modo temporaneo la presidenza, ha mostrato grande abilità nel colmare il vuoto lasciato dal suo predecessore, impedendo nei fatti che il potere finisse a una delle figlie oppure a un genero di Nazarbayev. Questo risultato Tokayev lo ha raggiunto attraverso due rischiose operazioni. La prima è la purga nei ranghi del governo e dei servizi segreti culminata con l’arresto, ieri, dell’ex capo dell’intelligence, Karim Massimov, secondo la sommaria accusa di tradimento. La seconda, altrettanto controversa, è stata il ricorso all’aiuto militare della Russia sulla base del Trattato di sicurezza collettiva. L’intervento del Csto e la presenza di tremila soldati stranieri in Kazakhstan non possono che condizionare, in senso favorevole a Tokayev, lo sviluppo degli eventi.

CERTO È CHE L’AUDACIA delle scelte solleva alcuni interrogativi. È possibile che le violenze di Almaty non fossero completamente spontanee, ma rispondessero a un copione scritto da tempo? Ed è possibile, poi, che una parte dell’establishment politico kazaco e di quello russo avessero presente lo schema che la rivolta avrebbe seguito? Se così fosse, allora l’abile Tokayev avrebbe concluso quello che si potrebbe definire un golpe presidenziale per escludere definitivamente dal potere il suo padrino politico e alcuni dei rivali più pericolosi.