«Siamo di fronte a una grave violazione del diritto alla legittima difesa». È secco Francesco Maria Sicilia, l’avvocato di Abdul (usiamo qui il nome di fantasia, ndr) Come del resto è stato secco il rifiuto con cui sabato scorso l’hanno lasciato alla porta del Cara di Isola Capo Rizzuto, dove il suo assistito si trova da oltre una settimana.

«Senza autorizzazione qua non entra neanche il presidente del consiglio, mi hanno detto, senza consegnarmi alcuna notifica scritta», afferma l’avvocato -che difende Abdul insieme al collega Alessandro Ferrara- che prima di andare al Cara ha inoltrato richiesta di accesso alla Prefettura, senza ricevere alcuna risposta. «Il mio cliente è chiuso in una struttura dove non dovrebbe essere, senza alcuna spiegazione. Ho bisogno di vederlo».

Per capire cosa è successo ad Abdul bisogna fare qualche passo indietro. Anche se è difficile capire l’incomprensibile.

Circa due settimane fa, un gruppo di persone sbarca a Roccella Ionica. Tra loro, alcune risultano positive al Covid-19, e vengono trasferite all’ospedale militare del Celio, a Roma. Gli altri vengono spostati in una struttura di accoglienza ad Amantea, in Calabria, dove dovrebbero fare un periodo di quarantena preventiva.

Il condizionale è d’obbligo: il loro arrivo è infatti accolto dalle accese proteste di alcuni residenti, a causa delle quali la struttura viene presidiata dall’esercito. I migranti – 11 persone – vengono caricati su un pullman e, tra le urla dei manifestanti, spostati a un centinaio di chilometri, in un container dalle condizioni più che precarie accanto al Cara di Isola Capo Rizzuto.

Cosa c’entra Abdul? Nulla.

Lui, un uomo di origine pachistana, vive ad Amantea da quattro anni. Mentre i manifestanti protestano e i migranti salgono sul pullman accompagnati dai militari, Abdul si trova fuori dalla struttura di accoglienza per consegnare alcuni indumenti a un amico mediatore nel centro, anche lui in quarantena vista la prossimità con i migranti.

Secondo le testimonianze, una signora avrebbe urlato ai militari di «prendere anche quello lì». Inutili le proteste di Abdul e del mediatore: l’uomo viene portato nella struttura del Cara e messo in quarantena con gli altri.

Una situazione che, oltre a essere assurda, è anche pericolosa: perché Abdul è sieropositivo e ha l’epatite, condizioni di salute che lo rendono un soggetto particolarmente a rischio rispetto al Covid19 (e per cui ha un permesso di soggiorno per «protezione speciale»). Lo specifica lui stesso, in un video diffuso dall’associazione La Guarimba, dove mostra anche le condizioni della struttura in cui si trova: cavi elettrici scoperti, pezzi di gommapiuma buttati a terra e usati come materassi, sporcizia.

Nessuno tra la prefettura di Crotone, quella di Cosenza e l’azienda sanitaria provinciale si prende la responsabilità del suo trasferimento.

Dopo molte pressioni di amici e conoscenti, Abdul viene trasferito in una stanza isolata e sanificata e può tornare ad assumere le sue medicine, che nella prima settimana nel Cara aveva dovuto forzatamente interrompere.

Resta però bloccato, senza poter vedere, al momento, nemmeno il suo avvocato.

«È terribile quello che è successo, una persona conosciuta da tutti nel nostro paese, per giunta malata, è stata deportata in un centro con la forza, senza alcun motivo. È un precedente pericoloso per tutti noi, italiani e non»: così Giulio Vita, presidente de La Guarimba. Dopo la presa di posizione sull’accaduto, Vita ha ricevuto insulti e minacce telefoniche da ignoti.

Quello che emerge da questa assurda e gravissima vicenda è un insieme di prassi illegittime, pregiudizi e razzismo. Quanto successo ad Abdul palesa la totale discrezionalità che grava sulla vita dei migranti. Ed evidenzia come la politica spesso dia la sponda a atteggiamenti escludenti e razzisti, piuttosto che garantire la tutela dei diritti per tutti.

Intanto, Abdul aspetta. Di poter vedere il suo avvocato, di tornare ad Amantea. Di capire chi è il responsabile del suo allontanamento coatto.