Da quasi una settimana il Libano è in fermento, scosso da un’ondata di proteste contro il governo in corso in tutto il paese. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada nella capitale Beirut, a Tripoli, Sidone e Tiro. La mobilitazione, nata spontaneamente giovedì scorso, si è ingrossata fino a raggiungere una partecipazione sorprendente nel fine settimana.

Ieri di nuovo in migliaia si sono radunati a Riad el Solh e piazza dei Martiri a cui si è aggiunto il presidio davanti alla sede della Banca Centrale libanese, ad Hamra, che è stata presa di mira anche a Tripoli al grido «Abbasso il regime della banca» e «Ladro, ladro, Riad Salameh è un ladro», in riferimento al governatore.

IL PACCHETTO DI RIFORME proposto lunedì dal primo ministro Saad Hariri non ha convinto i manifestanti, né li ha indotti a lasciare la piazza. Ha persuaso invece il Gruppo di Supporto internazionale per il Libano, composto da Onu, Cina, Francia, Germania, Italia, Russia, Regno unito e Stati uniti, insieme a Unione europea e Lega araba, che ieri lo hanno giudicato «in linea con le aspirazioni dei libanesi».

Lunedì il consiglio dei ministri ha approvato il bilancio per il 2020: prevede una drastica riduzione del deficit dello 0,6% del pil senza introduzione di nuove tasse e un pacchetto di riforme tra cui il taglio del 50% degli stipendi di parlamentari e ministri, nonché la riduzione dei benefici garantiti a funzionari statali.

Un piano che secondo molti non è attuabile. Ieri a Beirut alcuni manifestanti hanno organizzato un incontro con esperti di finanza ed economia per analizzarne la fattibilità e il responso è stato negativo. Sono emerse alcune proposte alternative i cui dettagli, spiegano, saranno resi pubblici a breve.

La protesta cerca di darsi un’organizzazione e una piattaforma di rivendicazioni. L’indignazione, la rabbia e la frustrazione che hanno spinto tanti libanesi a manifestare uniti sotto un’unica bandiera, quella nazionale, non sono sufficienti sul lungo periodo a mantenere viva e unita la piazza.

«ABBIAMO ORGANIZZATO incontri con gruppi ed esponenti della società civile e abbiamo concordato una lista di richieste» spiega Baria Ahmar, giornalista e membro di un nuovo partito, Sabaa (Sette), che si professa non settario.

«Siamo un partito nuovo e pulito (nato prima dell’inizio delle proteste, ndr)», conclude mostrando il documento presentato a una conferenza stampa organizzata in piazza dei Martiri. Il documento, sottoscritto da vari gruppi/movimenti (movimento di Tiro, di Zahle, di Nabatiye, di Hermel), chiede le dimissioni del governo e un esecutivo tecnico che transiti il paese a elezioni anticipate. Ed esorta i manifestanti a continuare a protestare fino a quando queste richieste non saranno esaudite.

STESSA DETERMINAZIONE a Tripoli, spiega al telefono Khaled Merheb, avvocato e attivista: «Restiamo qui finché loro non vanno via, sempre più gente si sta unendo alla protesta. La cosa che mi preoccupa di più è che qui tra i manifestanti in tanti chiedono alle Forze armate di prendere il potere».

Esercito e forze di sicurezza sono dispiegate in maniera massiccia in tutto il paese, ma solo venerdì scorso ci sono stati scontri con i manifestanti a Beirut. Lunedì, invece, hanno fermato il tentativo di incursione di un folto gruppo di militanti di Hezbollha e Amal (entrambi i movimenti hanno negato ogni legame) che tentava di entrare in piazza in sella a motorini gridando slogan contro la rivoluzione. L’esercito ha anche cercato di ristabilire la viabilità, bloccata o rallentata, soprattutto la notte, dai manifestanti senza usare la forza.

I libanesi per lo più ritengono che l’esercito stia svolgendo un ruolo di tutela, o persino di protezione. Oggi scuole, università e banche restano chiuse. La protesta continua, ma ancora non si è data un’agenda chiara, né una leadership, mentre il governo, riporta Al Jazeera, ritiene sarà positiva la reazione della comunità internazionale al piano. L’anno scorso, donatori e investitori stranieri hanno promesso 11 miliardi di dollari al Libano se attuerà riforme.