Il buon giorno si vede dal mattino. Cosa sarà l’opposizione della destra al governo Conte bis si è visto ieri, dentro e fuori Montecitorio.

Non è un’adunata oceanica quella che ha risposto all’invito di Giorgia Meloni e FdI, al quale si sono aggiunti alla fine anche Matteo Salvini e Giovanni Toti, ma non si tratta neppure di quattro gatti. Un paio di migliaia di persone, forse qualcosa in più, tanto comunque da riempire la piazza di Montecitorio e tracimare, ma non troppo, nelle piazze vicine. Le bandiere tricolori non si contano. I saluti romani non sono sporadici ma neppure ossessivi. Bastano a sbigottire i cronisti. Forse si aspettavano che a una manifestazione convocata da un partito molto vicino al neofascismo accorressero solo i giovani liberali.

LA PIAZZA È DI SORELLA Giorgia, ma Salvini non si perde il bagno di folla. La quale sbotta di brutto ogni volta che sente nominare Giuseppe Conte, e se fa un certo effetto sentire CasaPound e Forza Nuova inneggiare alla democrazia violata non bisogna dimenticare che in fondo si adeguano solo allo spirito dei tempi, quello che ha portato partiti abituati a insultarsi sino a un minuto prima ad abbracciarsi in una stessa maggioranza. È la crisi d’agosto ed è fatta così.

Il numero di manifestanti in fondo conta poco. L’obiettivo non era certo la marcetta su Roma ma la messa in scena del quadro che la destra, con la sensibile eccezione di Silvio Berlusconi, intende restituire: quello di una maggioranza parlamentare assediata da una minoranza che è tale solo dentro le mura del Palazzo. I tre leader, sul palco, si abbracciano, si baciano, non lesinano in selfie. È anche un modo per contrapporre l’armonia della destra alle divisioni, parte vere, parte presunte, della maggioranza assediata. Salvini, dal palco, non nasconde la strategia: «Oggi è la plastica divisione tra il Palazzo chiuso e l’Italia in piazza».

DALL’INTERNO del suddetto Palazzo i parlamentari raccolgono e rilanciano. Nel corso del lunghissimo discorso del premier, al mattino, il fragore resta ancora contenuto nonostante le numerose interruzioni. Con la replica pomeridiana invece esplode. I cori si sprecano. Le interruzioni fioccano. Le parole d’ordine sono identiche a quelle strillate fuori dall’aula: «Elezioni», «Poltrone», «Bibbiano». Conte non si perde d’animo. Accusa Massimo Garavaglia, viceministro nel suo precedente governo, di avergli mosso un’accusa volgare, quella di essere «imbullonato alla poltrona». Basta e avanza perché l’aula esploda e non è certo il primo momento di tensione. Poco prima, dopo che il renziano Rosato, in veste di vicepresidente di turno, aveva interrotto il capogruppo di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida, la rissa era stata a un passo e lo stesso Lollobrigida era andato giù pesante con le minacce, rivolto al medesimo Ettore Rosato: «Vuoi la balcanizzazione dell’aula?».

Che Rosato lo voglia o meno alla balcanizzazione si arriverà comunque perché quella è la logica dell’opposizione assediante, molto diversa da quella che prevede tempi lunghi e mira a logorare progressivamente la maggioranza di turno. L’assedio implica la convinzione di poter chiudere la partita in tempi relativamente brevi, mesi e non anni. Comporta quindi la guerriglia continua e la Lega conta per questo su tre elementi: le presidenze di commissione che resteranno in mano ai leghisti ancora per un anno e che sono postazioni strategiche, le arti di Roberto Calderoli, capace di trasformare i regolamenti parlamentari in armi da guerra e la raffica di elezioni regionali in agenda per i prossimi mesi. Obiettivo doppio: da un lato paralizzare la maggioranza impedendole di governare se non con continui colpi di mano preziosi per la propaganda della destra, dall’altro far saltare i nervi agli avversari esasperando così le tensioni interne fino a farle esplodere.

NON È LA TATTICA che userà un Silvio Berlusconi che appare ormai legato ai sedicenti alleati solo da un filo sottilissimo. Il Cavaliere a parole è durissimo: «Prima combattevo un partito comunista, ora ne devo combattere due». Ma in piazza non c’era e promette ben altro modello di comportamento: «Noi faremo opposizione in Parlamento, perché è lì che in democrazia si esercita la sovranità popolare e nessuno ci dia lezioni sulla piazza». Con la «coppia di piazza» il Cavaliere è sferzante: «Siamo alleati ma ben distanti». A porte chiuse, con i suoi parlamentari, va ben oltre: «Andrebbero messi fuori dalla porta». Ma l’alleanza per le regionali, quella non si discute. Poi, quando si arriverà al voto politico, si vedrà.