Chi ha parlato con Enrico Letta in questi giorni ha ricevuto una confidenza: il libro a sua firma che sta per essere pubblicato – la casa editrice Mondadori ne ha programmato l’uscita per fine aprile, primi di maggio – di cui ieri Repubblica ha anticipato alcuni passaggi, è un libro «che riflette molto sulla crisi d’Europa». È insomma «un libro sul futuro», «riflessioni su cosa vuol dire essere progressisti oggi», «in ogni caso non è un diario». Non è il diario che qualcuno si aspetterebbe: quello dei trenta giorni della irresistibile ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dal momento in cui il neosegretario del Pd giura che la sua «prospettiva personale non è giocare un giochino tutto interno agli intrighi di palazzo per andare a votare e prendere il posto di Enrico. Non c’è un disegno segreto, le critiche non sono per fare le scarpe ma per dare una mano» (16 gennaio 2014) al ribaltamento finale, quando Renzi sentenzia che «in questi dieci mesi abbiamo assistito a una serie di fallimenti», e chiude con la formula del benservito, «il ringraziamento al presidente del Consiglio per il notevole lavoro svolto alla guida del governo (…), ma qui si decide un cambio di passo» (13 febbraio 2014). Neanche un mese dall’una all’altra dichiarazione. In mezzo c’è il celebre hashtag #enricostaisereno. L’ultima scena è la foto del passaggio di consegne, il gelo fra Letta e Renzi mentre si scambiano la ’campanella’.

Letta oggi fa il bilancio opposto, quello di «nove mesi con risultati importanti». Ragiona sulla ripresa economica, sugli 80 euro distribuiti dal governo successivo. Certo, racconta anche del segretario del Pd «che non mantiene la parola data». Ma nel libro le poche riflessioni sul passato sono conclusioni di «vari episodi dai quali traggo insegnamenti». Di vita, di politica.

Nel libro c’è un capitolo intero sulla Operazione Mare Nostrum, la missione umanitaria attiva dall’ottobre 2013 al novembre 2014 dalla Marina Militare e dall’Aeronautica che resterà associata al governo Letta, poi chiusa e sostituita con il programma Triton. Le conseguenze in termini di vite salvate sono amara cronaca quotidiana.

La difesa di Mare Nostrum è anche l’unico tema su cui l’ex presidente ha polemizzato con il suo successore. Con moderazione, alla sua maniera. All’indomani di una delle più immani tragedie del mare nel canale di Sicilia, quella del 9 febbraio scorso. Oltre trecento fuggitivi morti, anche assiderati, sui gommoni per mancanza di aiuti. In quei giorni Letta rompe la consegna del silenzio che si è dato per twittare: «Ripristinare Mare Nostrum. Che gli altri paesi europei lo vogliano oppure no. Che faccia perdere voti oppure no». Renzi risponde indirettamente con un moto di fastidio, perdendo per una volta la sua usuale baldanza: «Il problema non è Mare Nostrum o Triton, si può chiedere all’Europa di fare di più e lo farò. Il punto politico è risolvere il problema in Libia, dove la situazione è fuori controllo. Quando ci sono morti», continua, «l’idea di usarli come strumentalizzazione fa male al cuore. Nel dibattito politico è necessario guardare la realtà e non solo le proprie posizioni ideologiche».

Oggi sappiamo che a pensarla come Enrico Letta è anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo ha detto – con moderazione, che è anche la sua maniera – alla giornalista Christiane Amanpour in un’intervista alla Cnn. Il presidente si è detto «orgoglioso dell’operazione Mare Nostrum, che ha salvato molte vite». Anche se certo, del suo eventuale ripristino «decide il parlamento».