Autore di film che richiedono una buona dose di coraggio da parte dello spettatore, perché muove lati oscuri della sopravvivenza, Tommaso Cotronei è più conosciuto all’estero che in Italia. I selezionatori dei festival sono più propensi ad accogliere qualcosa che accarezzi lo spettatore, o lo avvolga nella piacevolezza del prevedibile, dei nomi sperimentati. Per l’implacabile dose di amarezza delle sue indagini è stato tenuto ai margini fin suo esordio, pur partecipando a numerosi festival. Nel blu cercando fiabe (era ad Arcipelago), Lavoratori al festival di Torino e Locarno, lo spietato Ritrarsi. La sua prima fonte di ispirazione, la Calabria montana, la difficoltà di emergere da una situazione di mancanza di cultura e apertura mentale, l’inaccessibile sguardo verso un futuro diverso da quello già segnato si compongono in schemi pittorici come a chiedere allo stesso paesaggio conto della muta violenza che si prova. Le visioni mai viste prima al cinema nascono dalla sua stessa esperienza, il padre boscaiolo con l’estrema precisione nell’usare l’accetta gli ha indicato le dimensioni del montaggio, i primi viaggi in treno gli hanno fatto prendere le distanze, la prima esperienza di cinema sul set di Vittorio De Seta In Calabria gli ha fatto mettere a fuoco la materia del suo racconto, non l’estensione dei possedimenti, ma gli ultimi, i cancellati dal paesaggio. Si è poi messo in viaggio verso luoghi altrettanto poveri, senza vie di fuga, nel deserto tagliato dal treno merci che trasporta acqua e benzina (The Difference), o lungo il Rio Paraguay dove si raccolgono le storie di schiavitù di ieri non lontane da quelle del presente, bambini al lavoro con i padri pescatori come erano i piccoli pastori calabresi. Infine è partito per l’Africa, la Somalia dei campi dei rifugiati, le scuole coraniche, e poi non poteva che scegliere la Nigeria, ed è proprio con Covered with the blood of Jesus (Coperto dal sangue di Gesù) che è stato selezionato al festival del cinema indipendente di Bejing (18-24 agosto). Proprio quello che non si riesce mai a inaugurare perché arriva la polizia e lo fa chiudere, tanto che una lunga lista dei maggiori festival internazionali lo scorso hanno ha firmato contro la detenzione di diverse ore degli organizzatori e contro la perquisizione dell’organizzazione promotrice, il Xianting Film Fund Li con la confisca degli archivi di cinema indipendente. Quest’anno pare che non sarà così, il suo film è programmato per il 23. In un’inconsueta ambentazione africana, grigia, piovosa e fangosa, come a sottolineare la fatica di procedere nella vita, si muovono alcuni personaggi tra cui un giovane universitario che vuole a tutti i costi continuare a studiare alimentando le scarse finanze con piccole quantità di benzina sottratte alle grandi compagnie che hanno il potere economico del paese, da riempire qualche bottiglia di plastica e da rivendere.
Mi sembra perfetto questo tipo di festival, forse a Pechino hanno meno problemi nel vedere citate in un film le compagnie petrolifere e i problemi che causano nei paesi poveri.
Ho ripreso quelli che espropriano il petrolio per rivenderlo. Noi prendiamo quello che è nostro, dicono, guarda i miei bambini, mangiano il pesce è avvelenato dalle multinazionali del petrolio. Lo dicono chiaramente: non siamo né ladri né terroristi come volete farci passare. Dopo lunga attesa ci è stato concesso di conoscere il vecchio capo dei Niger Mander (Movement for the Actualization of Niger Delta Republic, ndr). E la mia guida: parla, spiega perchê sei venuto, ed io lo sai che io non conosco bene l’inglese, e lei: vogliono sentire il tono della tua voce, (lo stesso tono che dà tanto fastidio a numerosi dirigenti dei festival in Europa). «Ho paura di quello che dici» mi diceva un direttore di festival altolocato… insomma quando il vecchio mi ha sentito parlare, mi ha abbracciato dicendo: lascia stare la telecamera, rimani con noi e dacci una mano. Ha Che Guevara al muro grande così, non sono matti rimbecilliti dal fondamentalismo, hanno una infinità di libri, una rivista sulla quale rivendicano i loro diritti. Mandano i figli alle università, con i soldi «espropriati» alle varie Eni, Shell, Total, che avvelenano le loro terre comprano libri, acqua, cibo. Ma questo qui da noi non si deve dire: l’Europa deve apparire magnanima e benevola ed invece siamo un popolo di colonialisti sfruttatori. La libertà dei festival del cinema spesso va a farsi benedire, sono contro chi decide cosa è bene e cosa è male e non ha la coscienza pulita che gli permetterebbe di poter decidere in modo cristallino. Ho la sensazione che dà fastidio a tanti organizzatori quando dici certe cose, anche se il pubblico rimane incantato ad ascoltarti. Io so benissimo cosa ho fatto e perché lo faccio, alla fine racconto pure la mia vita assieme a quella dei personaggi che hanno la necessità di fare qualcosa di diverso dal tagliare e vendere cipolle. L’ho detto in Africa: io racconto la mia angoscia attraverso la vostra. Mi guardavano increduli. Ma pare ci sia un disegno ben curato per mantenere il povero sempre più bisognoso ed ignorante.
Nel film c’è lo studente che riempie le bottiglie di plastica di benzina per rivenderlo.
Quella è finzione, quel ragazzo l’ho incontrato per caso. Ero in albergo e cercavo qualcuno che parlasse francese per farmi da interprete e una ragazza che lavorava lì si era offerta per due euro al giorno. Io ho stabilito di dargliene dieci. Le scene le scrivevo di notte. Quel ragazzo l’ho conosciuto al mercato mentre stavo filmando una ragazza che vendeva e quel ragazzo si metteva sempre in mezzo. Alla fine andiamo all’università mi invento che la ragazza povera andava all’università – le cose possono cambiare quando i poveri diventeranno classe dirigente – mi giro e c’era sempre questo ragazzo appresso, così gli ho detto, va bene vieni con me e ho imbastito una storia su di lui che compra il petrolio di straforo e studia con i soldi che guadagna. Non è il povero africano che ha fame, ma quello che vuole studiare, cambiare il mondo. È un po’ documentario e un po’ fiction, io scrivevo le scene la sera, i luoghi e le persone sono vere; e con questi bidoni sempre appresso. Ho ripreso la mia guida sul terrazzino mentre stava parlando di varie problematiche e le ho chiesto di interpretare la padrona di casa che vuole i soldi dell’affito che poi spende al videopoker. E sui videopoker cisarebbe da dire: viviamo in una società che si aggrega con i delinquenti per estorcere denaro alla povera gente. E qualche barista del mio paese: «Mica li obbligo io a giocare» e alladomenica in chiesa con le mogli vestite a festa. A me piace dipingere. Quando vedo quei film «altolocati» che fanno a Cinecittà con i titoli di coda mezz’ora.. e poi scopri che sono costretti a montare cinque minuti al giorno… mentre io ci metto sei mesi per fare 75 minuti. Con il digitale puoi fare miracoli se hai tempo e passione.
C’è ritmo e contemplazione. Chi sono quelli che attraversano le strade con quelle carriole per trasportare pacchi e masserizie?
Quello è il reale lavoro del protagonista. Non c’è treno, vanno alla fermata dell’autobus e quando vedono una vecchia che non ce la fa l’aiutano a trasportare i pacchi. E c’è uno che affitta le carriole perché questi «portabagagli» non possiedono neanche le carriole. Vorrei che il film arrivasse in Africa perché se tu racconti un disagio, se non prende coscienza chi lo patisce… Lui non ha la forza per lottare. Ora sto finendo il film girato in Yemen sulle spose bambine, sul dramma che coinvolge questi matti pedofili che sposano le bambine di dieci anni, le violentano facendole morire dissanguate.
Non hai ancora avuto il tempo di mostrarlo in Nigeria
Mi hanno detto che se qui ti sparano non sono certo i Niger Mander. La triste storia di Ilaria Alpi insegna…L’altro giorno mi chiama la polizia di Frascati dicendo che ci sono problemi per rinnovare il passaporto. «Deve venire qui, dobbiamo parlare con lei» Ho avuto problemi con servizi somali e italiani a Mogadiscio: «Che ci vieni a fare qui? non sei con la Rai, non hai un produttore, te ne devi andare». Parlano con il direttore dell’albergo e non mi fanno uscire se non per andare in aeroporto. Ho avuto la sensazione che desiderano accogliere registi che raccontano quanto siano bravi gli italiani a fare la pizza in Africa. E che fanno apparire l’occidente buono e generoso.
Ma tu non citi l’Eni direttamente
Lo citano loro, i ragazzi dell’appartamento fanno nomi e cognomi, Eni, Schell, italiani, americani. Potevo anche fare il furbo e tagliare qua e là e chissà magari riuscivo a presentarlo in qualche mostra europea, ma poi con quale faccia andavo a Omoku, Bodo, Warry. Insomma devo andare in capo al mondo a presentare i miei film perché in Europa fanno paura. E speriamo che ci sia il festival, perché la scorsa edizione li hanno picchiati tutti quanti.