Dopo vent’anni di occasioni mancate dal centrosinistra, di riforme malfatte e di altre inevase (solo la «par condicio», oggi fatta fuori nei fatti, fu all’altezza delle aspettative e conforme alle esigenze del «far west» italico), questa cosiddetta «riforma Rai» di Renzi ha il sapore amaro della beffa.

Anche qui più che prendersela con il premier ci sarebbe da scavare sulle colpe di una sinistra che non ha mai voluto seriamente affrontare, anche quando è stata al governo, la questione televisiva e quella della messa in sicurezza della Rai in particolare.

Ora la Rai è al sicuro, ma nelle mani del governo, e l’on. Anzaldi, già rutelliano, aggiusta il tiro per colpire meglio la terza rete. Ma lo sa l’on. Anzaldi che il presidente del Consiglio moltiplica le presenze televisive in programmi d’informazione e d’intrattenimento in una misura che avrebbe fatto gridare al «golpe» solo pochi anni fa? Al contrario delle discutibili sortite di quest’ultimo, ahimè, le timidezze a sinistra (come ha ricordato Vincenzo Vita su questo giornale), o in quel che resta di essa, sul tema tv appaiono sconcertanti.

La Rai liberata dai partiti? Sì, ma nelle mani dell’esecutivo. La lottizzazione di reti e testate finalmente un ricordo del passato? Sì, ma dai lotti si passa al feudo, e non sarà certo meglio. Anche ammesso che Renzi non è Berlusconi e Campo Dall’Orto non è Masi, cosa succederà quando il feudatario di turno vorrà esercitare tutto il potere che la legge gli conferisce, pensando, più che alle competenze, alle fedeltà di cordata?

E dire che se il premier avesse voluto far bene non aveva che da chiedere a chi gli sta vicino. Come Paolo Gentiloni che, da ministro della Comunicazione durante il secondo governo Prodi, aveva provato a cambiare il sistema con un disegno di legge coraggioso che affidava la Rai ad una Fondazione. Non solo. Il progetto in particolare prevedeva l’istituzione di un Consiglio per le Comunicazioni audiovisive composto da 21 membri: 7 indicati dai presidenti delle Camere, 11 da sindacati, imprenditori, artisti, terzo settore, associazioni di utenti, università e consumatori, e 3 dalla conferenza delle regioni, dall’Anci e dall’unione delle provincie.

Il Consiglio avrebbe provveduto a nominare sia i vertici dell’azienda del servizio pubblico sia i membri dell’Autorità delle telecomunicazioni. A sua volta quest’ultima avrebbe dovuto garantire il rispetto da parte della tv privata di quegli indirizzi vincolanti che il Consiglio superiore decideva di emanare all’intero comparto televisivo. Nella proposta, udite, udite, si prospettava anche l’invio sul satellite entro 15 mesi di una rete Rai e una Mediaset e un limite alla raccolta pubblicitaria del 45% per ogni singolo attore del mercato.

Il disegno, approvato dal consiglio di ministri dopo le elezioni, passava nel 2007 alla Camera poco prima dell’ingloriosa caduta del governo.

Ecco, sarebbe interessante sapere cosa ne pensa il ministro degli esteri Gentiloni di quanto ha partorito il governo di cui è autorevole rappresentante in tema di televisione. Ma Renzi l’avrà almeno consultato?