«Si è alla ricerca di un capro espiatorio per nascondere le inefficenze e gli egoismi che stanno erodendo l’Unione Europea». Il vice ministro greco per l’Immigrazione Yiannis Mouzalas non ha nascosto il suo fastidio per l’attacco contro i paesi di confine nel Mediterraneo. In un’intervista televisiva, all’indomani della riunione di Amsterdam, ha parlato fuori dai denti: «Sono molto preoccupato, non tanto per la proposta di espellerci dall’area Schengen, che non trova consensi tra i paesi membri, quanto per le proposte di creare in Grecia campi di raccolta per 400 mila profughi e migranti. Sono proposte indecenti: alcuni governi mandano per aria l’Europa pur di rastrellare qualche voto ai partiti xenofobi».

E’ un sospetto che da molto tempo circola in Grecia, non solo tra la popolazione ma anche ai vertici del governo: il sospetto che la «soluzione» ambita dal nord Europa sia quella di trasformare i paesi di frontiera nel Mediterraneo in immensi campi di raccolta dei disperati in fuga da guerre e povertà. Tsipras, la settimana scorsa, si è scagliato con forza in Parlamento contro questo progetto: «Lesbos sta dando lezioni di umanità all’Europa. Gli abitanti delle isole si sono dimostrati veri europei». Tanto che è sorto spontaneamente un movimento per l’assegnazione del Nobel per la pace proprio a loro.

Sul piano pratico, Mouzalas non ha negato i ritardi: «E’ vero, gli hot spot funzionanti sono solo due. Ma c’è un motivo: dobbiamo sistemare decine di migliaia di persone mentre ogni giorno ne arrivano altre. A febbraio sarà tutto a posto».

L’anno scorso sono transitati dal territorio greco più di 850 mila profughi e migranti. Il costo complessivo ha superato i due miliardi. Di tutte queste persone, circa 300 mila sono rimaste in Grecia. Il ministro spiega che solo nelle isole sono stati costruiti 25 mila alloggi e affittate circa mille camere. «L’Ue avrebbe dovuto avere già pronti 16 mila alloggi e ne ha solo 900. Non diano la colpa a noi. Chi vuole chiudere le proprie frontiere, rifiutando ogni proposta realista, come la ricollocazione, si trova fuori dalla politica e dalla logica Ue».

Anche il vice ministro degli Esteri Nikos Xydakis si è scagliato con forza contro la proposta di usare la marina militare per bloccare il flusso: «La Grecia difende le frontiere nazionali ed europee.

Non può lasciare la gente affogare in mare. Queste pressioni su di noi per cambiare le regole di gestione del flusso mirano a far aumentare il numero delle vittime, peraltro già alto». Il portavoce dello stesso ministero Konstantinos Koutras ha aggiunto che da luglio Atene aveva chiesto il rafforzamento di Frontex nell’Egeo, ma finora pochi paesi hanno mostrato disponibilità.

Per il governo, l’isteria anti-greca va di pari passo con la scarsa volontà di parlare chiaro alla Turchia. «Ad Amsterdam si è parlato tanto di Grecia e pochissimo di Turchia», ha commentato Mouzalas: «Cosa succede là? L’altro giorno abbiamo reintrodotto 130 migranti in quel paese, mentre durante la settimana ne erano arrivati circa 60 mila. Di chi è la responsabilità?». Per non parlare dei paesi che si rifiutano di accogliere i propri cittadini rimpatriati come il Pakistan.

Atene insiste da tempo nell’indicare la vicina Turchia come la chiave per gestire l’ondata migratoria. Tsipras aveva proposto a suo tempo di collocare gli hot spot sul territorio turco ma il Consiglio Europeo ha ritenuto più realistico promettere a Erdogan 3 miliardi e la liberalizzazione dei visti. Atene non si è opposta al finanziamento ma ritiene che deve essere accompagnato da una costante politica di controllo dei flussi sul territorio.

È dal 2010 che l’Unione Europea sottoscrivve accordi con Ankara sui migranti, regolarmente rimasti sulla carta. In più, i turchi cercano di approfittare dell’emergenza per creare fatti compiuti nell’Egeo, in modo da consolidare le proprie rivendicazioni. Tre giorni fa, Atene ha di nuovo bocciato la proposta di pattugliamenti congiunti con le motonavi turche.

L’opinione pubbica greca segue questo indecente teatrino europeo con grande preoccupazione. Già il duro contenzioso con l’eurozona aveva fatto vacillare la fiducia nella capacità dell’Ue di dare risposte coerenti ed efficaci in campo economico. Ora la crisi dei profughi rischia di dare il colpo di grazia.

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